Urgenza ed emergenza

«Penso che parte dei fondi oggi destinati alle vie d’acqua di Expo possano essere utilizzati per interventi strutturali necessari a risolvere in via definitiva le criticità idrogeologiche. Si potrebbe pensare a realizzare esclusivamente la parte delle vie d’acqua indispensabile per garantire la messa in sicurezza del sito di Expo 2015», dice il sindaco Giuliano Pisapia. E l’amministratore delegato Giuseppe Sala, pur con qualche cautela in più conferma che «l’Expo, non so ancora in che forma, dovrà comunque portare un suo contributo anche al problema delle esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro che sta colpendo Milano».

La protesta contro le vie d'acqua

La protesta contro le vie d’acqua

A stare alle dichiarazioni ufficiali, dunque, una delle opere più contestate del progetto Expo verrà ulteriormente ridimensionata, malgrado se ne fosse presentata la nuova versione solo una settimana fa. Anche se si tratta di dichiarazioni dettate dall’emergenza se ne deduce che le vie d’acqua sono, se non «inutili, invasive e costose» come hanno sempre sostenuto i comitati che vi si oppongono, almeno «rinunciabili».

Si interrompe così un braccio di ferro durato mesi e non di rado accesosi in aperta contestazione che non si sarebbe nemmeno ingaggiato se solo, invece di attendere l’emergenza, si fosse considerata l’urgenza di interventi per la tutela idrogeologica dei territori invocati da anni e mai realizzati.

Lo stesso criterio dovrebbe ora informare le prossime mosse delle amministrazioni. Perché, se non sarà facile “dirottare” i fondi dalle vie d’acqua (cui le destina un decreto del governo) alla vasca di Senago (che non sarà pronta fino al 2016), si sa già se ne devono costruire altre a Paderno, Varedo, Lentate e al parco Nord. E ancora non basterà. Si dovrà pensare al Lambro e al restauro della linea Gialla del metrò che va sott’acqua anche “grazie” ai grattacieli di Porta Nuova.

Sono problemi di dimensione metropolitana che difficilmente potranno trovare soluzione in un ambito urbano. Tutti «urgenti» e tutti molto costosi. Resta da decidere allora quanto più urgenti di altre grandi opere pubbliche. Prima di scoprirle «inutili» di fronte all’emergenza.


Percorsi poco partecipati

Di come salvare i 160 olmi “monumentali” di via Mac Mahon si discute da più di un anno. Ora una soluzione sembra possibile e l’Atm con il Consiglio di zona rivendica il risultato di un percorso partecipativo con i cittadini che, di fronte alla necessità di sostituire i binari del tram non volevano rinunciare al verde della via. C’è chi ancora si oppone e gli argomenti che l’urbanista Giuseppe Boatti, tecnico al servizio del comitato civico sorto a difesa di quegli alberi che ancora attende l’esito di un suo ricorso al Tar, non sembrano irrilevanti.

Gli olmi di via Mac Mahon

Gli olmi di via Mac Mahon

Si comincia a discutere della sorte del verde del Parco Solari minacciato dal maxi-cantiere della Linea Blu del metrò. Anche in questo caso, i residenti non sono contro il metrò, ma chiedono che quel cantiere venga allestito su un’altra area (come, peraltro, si prevedeva nell’originario progetto della giunta Albertini, poi modificato da quella Moratti e lasciato in eredità a quella Pisapia).

Delle vie d’acqua di Expo non si conosce ancora la sorte, ma che siano ormai in molti a non volerne sapere è un dato di fatto che le cronache raccontano da mesi, anche nei loro eccessi.

Si smonta il cantiere di piazza XXIV Maggio e puntualmente comincia la raccolta di firme contri “il kiosko”, la storica pescheria giudicata oggi un ecomostro (ma lo era anche prima), mentre in piazza Piemonte non si è mai spenta la polemica contro l’ingresso monumentale al parcheggio sotterraneo anche se si è tentato di mimetizzarlo.

Solo ieri è stato finalmente confermato il piano per la costruzione delle cinque vasche di laminazione per contenere le esondazioni del Seveso, partendo da quelle di Senago anche se l’intero paese, sindaco in testa, è assolutamente contrario opponendo argomenti, apparentemente, piuttosto solidi.

Altri, molti, casi si potrebbero aggiungere, ma l’impressione generale è che i percorsi partecipativi, che pure il Comune sperimenta nel rapporto con i quartieri, dove si programmano piccole e grandi opere, non funzioni o comunque incontri grandi difficoltà a mettersi in moto. Anzi, troppo spesso il confronto deve essere sollecitato, più o meno ruvidamente, e si avvia in corso d’opera quando le posizioni si sono già radicalizzate.

E’ certo che, se anche tutto filasse liscio, se per ogni intervento si potesse trovare la soluzione più positiva e condivisa, resisterebbe sempre un fronte, più o meno ampio, di critici e insoddisfatti. Ma se il confronto si svolgesse secondo regole condivise e ben programmato nelle forme e nei contenuti, e non venisse invece “improvvisato” di volta in volta, il suo esito potrebbe davvero essere rivendicato come un risultato definitivo. E non continuamente rimesso in discussione.


Non sappia la mano destra…

Il sindaco di Senago, Lucio Fois, guida un comune il cui Consiglio, all’unanimità, ha sempre respinto il progetto per la costruzione delle vasche di laminazione del Seveso sul proprio territorio.

Lucio Fois, sindaco di Seanago

Lucio Fois, sindaco di Seanago

Di fronte alla ribadita volontà di Governo, Regione e Comune di Milano di procedere comunque, conferma di voler ricorrere, a nome della comunità che amministra, al Tribunale delle acque. Gli argomenti che porta a sostegno della propria contrarietà sono, apparentemente, di assoluto buon senso : il Tribunale ne valuterà l’effettiva consistenza di fronte a un’”emergenza” (cronicizzata da lustri di decisioni non prese) nella quale si vorrebbe affermare, altrettanto ragionevolmente) il superiore interesse di una più ampia comunità.
Fra le molte obiezioni del sindaco, una è comunque sorprendente: nell’area che sarà destinata alla costruzione della vasca (estesa quanto 20 campi da calcio) ci sono culture di mais e un bosco. I cui alberi – denuncia Fois – sono stati piantati a marzo utilizzando fondi della Regione. Che, a sua volta, stava già esaminando il progetto delle vasche, quantomeno per il fatto che è, da anni, l’unica soluzione attualmente alla sua attenzione.
La Regione, insomma, ha finanziato la piantumazione di alberi sapendo che si sarebbero dovuti abbattere di lì a qualche mese. In sostanza, la Regione ha buttato via dei soldi. Perché non sia mai che nelle pubbliche amministrazioni la mano destra sappia quel che fa la sinistra.


“Pollice nero”

Le idrovore erano ancora al lavoro per svuotare le cantine allagate di Niguarda, che in Regione si ponevano le migliori premesse per rendere ancor più difficile il sempre invocato «governo del territorio».
sevesoPrima mossa l’approvazione della legge “ammazzaforeste” che permette di abbattere gli alberi che hanno meno di trent’anni in montagna e di quindici in pianura senza che il proprietario debba pagare compensazioni. Il pretesto è che così si contrasterebbe l’abbandono dei terreni agricoli abbandonati «a rovi e piante infestanti» (da molto tempo si direbbe). E riconvertirli ad «usi produttivi»: basterà poi ai comuni, affamati di contributi alle spese di urbanizzazione, cambiarne la destinazione d’uso perché roveti, boschetti o campi abbandonati che siano cedano il posto ad altro. Così da moltiplicare le colate di fango dalle montagne e far interrare qualche altro canale o torrente in pianura. Il tutto festeggiando con le gare di motocross che vi si potranno organizzare, previa, naturalmente l’apertura di una fideiussione a copertura degli «eventuali danni».
I 5 Stelle, contrari come tutta l’opposizione (come pure l’Ordine degli agronomi e forestali), in attesa dell’invocato intervento del ministro Martina, efficacemente, parlano del «pollice nero» della maggioranza. Che conferma il suo non volersi confondere con «gli ambientalisti da salotto», per stare alla definizione del consigliere leghista Dario Bianchi, con una seconda mossa.
Il più che discreto progetto di legge sul consumo del suolo (8 metri quadrati al secondo è il dato nazionale e Milano è la seconda città più cementificata d’Italia con il 61,7% di suolo occupato), messo a punto dall’assessore regionale all’Urbanistica e al Territorio Viviana Beccalossi (Fratelli d’Italia), condiviso e promosso in campagna elettorale dalla Lega, non piace però a Ncd e Forza Italia. Che non ne condividono la retroattività e i nuovi limiti volumetrici (che si propone di definire volta per volta). Per quanto riguarda i tempi di attuazione, si intende concedere ai comuni (sempre quelli che “vivono di oneri di urbanizzazione”) e ai costruttori titolari dei progetti di lottizzazione tre anni di tempo per adeguarsi alle nuove regole. Nel frattempo, tutto andrebbe avanti come ora, tranne per i terreni agricoli di cui si scriveva poco sopra. Insomma, tutti i progetti urbani già approvati saranno considerati diritti acquisiti: ai costruttori la valutazione della convenienza economica di realizzarli.
Così da accreditare uno degli argomenti polemici del sindaco di Senago, Lucio Fois, che per non aver cementificato il territorio del suo comune come hanno viceversa fatto i suoi vicini si trova oggi “costretto” ad ospitare le vasche di laminazione del Seveso.
Sulle quali, pur essendo l’unico progetto in campo, si accende la polemica. Apprendiamo, infatti, dal vicepresidente della Commissione ambiente della Camera, il 5 Stelle Massimo De Rosa, che si tratta di «soluzioni inefficaci, controproducenti e dannose per il territorio». Quale la soluzione alternativa non si dice, ma se anche vi fosse, sarà ancor più difficile praticarla con le nuove leggi che la Regione si sta dando.


L’alluvione “perfetta”

Anche nel caso dell’alluvione del Seveso, come per ogni fenomeno naturale, vale il principio che non ci si dovrebbe chiedere se quell’evento si verificherà, ma, semplicemente, quando. Se poi per un secolo si è fatto quanto non si doveva fare, quando il fenomeno atteso si verificherà, le conseguenze saranno sempre maggiori di quelle che già si sono sperimentate. Se al quadro si aggiunge infine l’imprevidenza, come pare sia avvenuto nella notte di lunedì quando non è stato diffuso alcun allarme, gli effetti saranno ancora peggiori. E a temperarli non basterà certo il rituale scambio di accuse tra chi (sulla carta sono molti, certamente troppi), sarebbe titolare degli interventi. Invece il canovaccio del dramma si replica puntualmente.
sevesoEppure a sole 24 ore dal nubifragio si era appreso che Comune e Regione avevano confermato che, entro l’estate, sarebbe stato pronto il progetto definitivo della vasca di laminatura di Senago che, insieme ad altre tre vasche a Lentate sul Seveso, Varedo e Paderno Dugnano, dovrebbe porre fine alle esondazioni del Seveso.
Appena il progetto sarà pronto, Lucio Fois, che guida la giunta di centrosinistra di Senago, ha già annunciato di essere pronto a ricorrere al Tribunale delle acque: «Ci opponiamo a un’ipotesi progettuale pressapochista, perché Senago sconta l’unico torto di aver preservato il proprio territorio dall’urbanizzazione selvaggia. E adesso quest’area verde dovrebbe ospitare una vasca di decantazione delle acque putride del Seveso».
Le sue argomentazioni non sono irrilevanti (fra l’altro il suo comune dista 5 km dall’”asta del Seveso”), ma resta il fatto che il futuro degli abitanti di Niguarda (181.598) dipenderà dalle decisioni che riguarderanno quelli di Senago (21.273) che pure, nel prossimo futuro, diverranno cittadini della città metropolitana.
Ammesso che queste resistenze possono essere superate, bisognerà poi trovare un centinaio di milioni per finanziare l’opera: la Regione ne ha già a bilancio una decina, il Comune è pronto e investirne trenta, gli altri dovrebbero arrivare da uno Stato che si è fatto però particolarmente attento alla spesa, per non dire “avaro”.
La Provincia che sul Seveso ha responsabilità che, dopo lo scioglimento, non si sa ancora a chi verranno assegnate, fra i suoi ultimi atti ha stanziato 26 milioni (che non erano suoi ma della Regione) per la manutenzione straordinaria e l’ampliamento del canale scolmatore di Nord Ovest che da solo non basta però a evitare le alluvioni.
Trovati i soldi partirebbero gli appalti (argomento quanto meno scivoloso in questi tempi), col tradizionale contorno di ricorsi, controricorsi etc. Se poi le ruspe si mettessero finalmente al lavoro, secondo i tecnici, ci vorrebbe qualche anno per completare le opere idrauliche.
Mentre si esauriranno tutte queste procedure, quante volte Niguarda sarà di nuovo allagata e quanti milioni si pagheranno in danni per non averne investiti altri nella prevenzione?


Seveso, le promesse non bastano

Piove? Piazza Caserta, viale Ca’ Granda, via padre Luigi Monti, viale Suzzani, viale Fulvio Testi, viale Sarca, via Valfurva, via Val Cismon e piazzale Istria finiscono sott’acqua. Ormai l’annuncio lo si potrebbe dare in nota alle previsioni meteorologiche giacché basta uno scroscio di un’ora perché i fiumi che Milano ha costretto nel sottosuolo si prendano la loro rovinosa rivincita. Succede da quando una modernità fatta di asfalto e cemento ha stravolto la geniale pianificazione imposta alle acque della città da Leonardo da Vinci. Ma ogni anno è un po’ peggio. Anzi, ogni mese. L’ultima volta che le strade di Niguarda si sono allagate era il 27 maggio, dopo l’esondazione del Seveso del 17 novembre 2010 e quella del Lambro il 2 novembre. E non è ancora passato un anno da quando, il 18 settembre,  a finire sott’acqua era stato addirittura il cantiere della linea 5 del metrò. Allora i danni furono stimati in 20 milioni di euro, ma non risulta siano stati ancora liquidati. Una cifra di poco inferiore a quella stanziata dalla Regione per evitare che l’emergenza si rinnovasse ampliando del 20 per cento la capacità dello scolmatore di Nord Ovest e costruendo una cassa di espansione nei pressi di Senago malgrado la ferma opposizione del comune inserito nel Parco delle Groane e destinando 8 milioni ai lavori sul corso del Lambro. Interventi “tampone” come dimostrano le cronache, mentre il Pai, il Piano stralcio di assetto idrogeologico messo a punto nel 2002 continua a prendere polvere nei cassetti del Pirellone perché per metterlo in opera, allora, sarebbero serviti 300 milioni di euro che nessuno ha cercato né trovato.

Conforta il fatto che ieri notte una pattuglia di assessori e consiglieri si sia mobilitata per prendere atto di quanto stava accadendo e che la Zona avesse annunciato nelle scorse settimane la creazione di gruppi di volontari che potessero affiancare polizia locale, protezione civile, vigili del fuoco,  uomini dell’Amsa e della Mm nell’emergenza. E che si sia pensato di attivare le cooperative sociali per ripulire cantine e seminterrati da fango e detriti, preoccupandosi anche dell’assistenza agli anziani soli. Tutti segnali di un approccio non burocratico all’emergenza per coinvolgervi i residenti dell’intero quartiere. Ma, evidentemente, la buona volontà non può bastare come non basta chiedere un monitoraggio meteo alla Protezione civile per diramare per tempo gli eventuali allarmi.

Da solo, il Comune può fare poco e senza la collaborazione di Provincia, Regione e Aipo, l’Autorità di bacino, Seveso e Lambro sono destinati a invadere ancora le strade della città. Ma a Palazzo Marino si potrebbe cominciare a ricostruire che fine abbiano fatto i milioni stanziati per le prime opere, quanti cantieri siano stati effettivamente aperti, a che punto siano i lavori, quali i tempi per il loro completamento, quale il destino delle casse di espansione e delle vasche di laminazione (l’ennesimo progetto è stato depositato in Regione due settimane fa, ha segnalato l’assessore Maran). Così che, finalmente, finisca lo scaricabarile tra istituzioni e si sappia chi dovrebbe fare cosa e, nel caso, scoprire perché non lo sta facendo e tenerlo responsabile dei danni.

Ma siamo ancora alla gestione dell’emergenza. Poi c’è il Pai che sembra opportuno estrarre dal cassetto, verificare, attualizzare e quindi inserire tra le opere pubbliche prioritarie al pari di Tem, Brebemi ed Expo trovando quei 300 milioni di euro che stiamo già pagando in danni e opere straordinarie mese dopo mese. Perché, malgrado la vocazione di metropoli europea, Milano non è Amsterdam e i suoi improvvisati canali non sono navigabili.

(la Repubblica Milano, 7 agosto 2011)