Seveso, le promesse non bastano

Piove? Piazza Caserta, viale Ca’ Granda, via padre Luigi Monti, viale Suzzani, viale Fulvio Testi, viale Sarca, via Valfurva, via Val Cismon e piazzale Istria finiscono sott’acqua. Ormai l’annuncio lo si potrebbe dare in nota alle previsioni meteorologiche giacché basta uno scroscio di un’ora perché i fiumi che Milano ha costretto nel sottosuolo si prendano la loro rovinosa rivincita. Succede da quando una modernità fatta di asfalto e cemento ha stravolto la geniale pianificazione imposta alle acque della città da Leonardo da Vinci. Ma ogni anno è un po’ peggio. Anzi, ogni mese. L’ultima volta che le strade di Niguarda si sono allagate era il 27 maggio, dopo l’esondazione del Seveso del 17 novembre 2010 e quella del Lambro il 2 novembre. E non è ancora passato un anno da quando, il 18 settembre,  a finire sott’acqua era stato addirittura il cantiere della linea 5 del metrò. Allora i danni furono stimati in 20 milioni di euro, ma non risulta siano stati ancora liquidati. Una cifra di poco inferiore a quella stanziata dalla Regione per evitare che l’emergenza si rinnovasse ampliando del 20 per cento la capacità dello scolmatore di Nord Ovest e costruendo una cassa di espansione nei pressi di Senago malgrado la ferma opposizione del comune inserito nel Parco delle Groane e destinando 8 milioni ai lavori sul corso del Lambro. Interventi “tampone” come dimostrano le cronache, mentre il Pai, il Piano stralcio di assetto idrogeologico messo a punto nel 2002 continua a prendere polvere nei cassetti del Pirellone perché per metterlo in opera, allora, sarebbero serviti 300 milioni di euro che nessuno ha cercato né trovato.

Conforta il fatto che ieri notte una pattuglia di assessori e consiglieri si sia mobilitata per prendere atto di quanto stava accadendo e che la Zona avesse annunciato nelle scorse settimane la creazione di gruppi di volontari che potessero affiancare polizia locale, protezione civile, vigili del fuoco,  uomini dell’Amsa e della Mm nell’emergenza. E che si sia pensato di attivare le cooperative sociali per ripulire cantine e seminterrati da fango e detriti, preoccupandosi anche dell’assistenza agli anziani soli. Tutti segnali di un approccio non burocratico all’emergenza per coinvolgervi i residenti dell’intero quartiere. Ma, evidentemente, la buona volontà non può bastare come non basta chiedere un monitoraggio meteo alla Protezione civile per diramare per tempo gli eventuali allarmi.

Da solo, il Comune può fare poco e senza la collaborazione di Provincia, Regione e Aipo, l’Autorità di bacino, Seveso e Lambro sono destinati a invadere ancora le strade della città. Ma a Palazzo Marino si potrebbe cominciare a ricostruire che fine abbiano fatto i milioni stanziati per le prime opere, quanti cantieri siano stati effettivamente aperti, a che punto siano i lavori, quali i tempi per il loro completamento, quale il destino delle casse di espansione e delle vasche di laminazione (l’ennesimo progetto è stato depositato in Regione due settimane fa, ha segnalato l’assessore Maran). Così che, finalmente, finisca lo scaricabarile tra istituzioni e si sappia chi dovrebbe fare cosa e, nel caso, scoprire perché non lo sta facendo e tenerlo responsabile dei danni.

Ma siamo ancora alla gestione dell’emergenza. Poi c’è il Pai che sembra opportuno estrarre dal cassetto, verificare, attualizzare e quindi inserire tra le opere pubbliche prioritarie al pari di Tem, Brebemi ed Expo trovando quei 300 milioni di euro che stiamo già pagando in danni e opere straordinarie mese dopo mese. Perché, malgrado la vocazione di metropoli europea, Milano non è Amsterdam e i suoi improvvisati canali non sono navigabili.

(la Repubblica Milano, 7 agosto 2011)