“Rapporti fiduciari”

In buona sostanza, l’inchiesta nella quale è coinvolto il presidente della regione Roberto Maroni deve valutare se le due consulenze affidate da Expo spa ed Eupolis a “tecnici” che il presidente riteneva particolarmente adeguati a rivestire quell’incarico, possano essere ricondotte a quelle “fiduciarie” che certamente caratterizzano alcune funzioni dell’amministrazione pubblica.

Il presidente Roberto Maroni

Il presidente Roberto Maroni

Il fatto che tali incarichi fossero in società che gravitano sulla Regione ma non ne fanno parte, indebolisce non poco l’argomento della “fiduciarietà” dell’incarico, ma questo si potrebbe dire di molte altre cariche di origine “politica” come quelle nelle Asl, ad esempio.
Della “qualità penale” di quanto accaduto saranno comunque i giudici a dibattere. Su quella “contabile”, la Corte dei Conti ha già richiamato la Regione, non su questo caso specifico, a una maggior vigilanza sui contratti di consulenza. E, infatti, per gli inquirenti, Maroni e il capo della sua segreteria Giacomo Ciriello «non erano riusciti a collocare» Mara Carluccio e Maria Grazia Paturzo (collaboratrici del Maroni ministro degli Interni) «presso lo staff del Presidente, in quanto la loro assunzione sarebbe stata soggetta a controlli della Corte dei Conti sulla Regione».
Sulla “qualità politica” della vicenda, Maroni non offre grande disponibilità al dibattito trincerandosi dietro la solidarietà espressagli dall’intera maggioranza e concedendo poche battute di replica ai rilievi dell’opposizione. Eppure, nel progredire della polemica politica si scoprono altri incarichi “fiduciari” a rappresentare una clientela fin troppo simile a quella già lungamente sperimentata nella lunga stagione formigoniana.
Al di là di ogni eventuale rilievo giudiziario, resta infatti da stabilire se e quanto Eupolis ed Expo avessero realmente bisogno di qualcuno che si occupasse dell’«internazionalizzazione delle best practice e la sicurezza delle delegazioni estere accreditate» (Carluccio), o dell’«internazionalizzazione degli eventi Expo» ma dal punto di vista dei rapporti a Roma tra la Regione e i ministeri più in gioco (Paturzo).
Per quanto riguarda poi Eupolis (che dovrebbe occuparsi di statistica) sarebbe da chiarire anche che contributo abbiano sin’ora dato Massimiliano Ferrari, «ex direttore del Tg Nord», Mario Valentino Longo, «responsabile della Lega Nord per l’odontoiatria» e Luca Morvilli, «del team della campagna elettorale per le Regionali di Maroni» al quale è stato affidato il compito di «sviluppare una strategia di comunicazione “olistica”».
Domande polemicamente poste dal capogruppo del Pd Enrico Brambilla, cui non è ancora giunta risposta.
Intanto, esaurito il fulmineo dibattito sull’inchiesta della Procura, la Giunta è tornata a macinare poltrone: il commercialista varesino Ignazio Parrinello sarà presidente di Finlombarda nel cui cda, in quota Forza Italia, siederà anche Marco Flavio Cirillo, ex sindaco di Basiglio ed ex contestato sottosegretario all’Ambiente nel governo Letta.
Sarà pur vero, come ha sostenuto in aula il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo, che «vi è un disegno politico chiaro per delegittimare le Regioni e tornare a un centralismo sempre più lontano dalle esigenze dei territori, degli Enti locali e dei cittadini». Ma è certo che a quel diabolico piano si sta dando una bella mano.


L’araba fenice

Mario Monti l’aveva ripristinata nel gennaio del 2012 vaticinando che se la tassa sulla casa fosse stata abolita da un nuovo governo poi si sarebbe stati costretti a reintrodurla, raddoppiandola.
Non è neanche servito attendere un’intera legislatura perché l’Imu risorgesse dalle proprie ceneri.
tasiEnrico Letta aveva dichiarato, per assecondare l’avversario-alleato Silvio Berlusconi che ne aveva fatto il suo cavallo di battaglia elettorale, che l’Imu sulla prima casa non si sarebbe più pagata. Non era vero (e neanche possibile) e, infatti, le si è solo cambiato nome. E’ nata così la Iuc che “contiene” le vecchie Imu e Tari (la tassa sui rifiuti) e la neonata Tasi a copertura di servizi che dovrebbero, almeno in parte, far parte delle addizionali Irpef comunali.
Si sarebbe dovuto semplificare al punto che i Comuni (orgogliosi di essersi resi autonomi dall’”odiata” Equitalia) avrebbero dovuto redigere i bollettini di versamento e recapitarli al domicilio dei contribuenti (cui si sono aggiunti anche gli affittuari) esentandoli dall’affannosa consultazione di Caf e commercialisti. Non accadrà, perché il decreto che lo stabiliva è rimasto prigioniero di un cassetto.
Si sarebbero fissate date certe per i pagamenti, ma di rinvio in rinvio, si è concesso ai Comuni solo una decina di giorni per districarsi nel groviglio di acconti, rate, detrazioni e saldi che il Governo (in nome di un’auspicata maggior equità di una tassa che, essendo ad aliquota fissa tale non è) ha delegato proprio ai Comuni. Con il risultato che, per la sola Tasi, si calcola si possano avere fino a 8.092 modalità di applicazione diverse e 75mila combinazioni di aliquote e detrazioni.
Se poi si voleva evitare che i Comuni si trovassero, esattamente come è avvenuto lo scorso anno e per le medesime ragioni, ad approvare i propri bilanci preventivi prima che fosse passato l’intero anno d’esercizio, con il rinvio dei pagamenti a settembre e dicembre (ma i proprietari di seconde case dovrebbero rispettare la scadenza Imu del 16 giugno, ricalcolando ai fini Irpef l’eventuale cedolare secca e shakerando il tutto con ipotetici sconti per contratti concordati e tensioni abitative) anche questo obiettivo minimo è stato mancato. E i Comuni chiedono, naturalmente, alle Finanze di anticipare gli introiti previsti (quali?) per non veder scardinati i propri bilanci.
Il Comune di Milano, che in Giunta ha affrontato il caso ma che deve ancora sottoporre le decisioni al voto del Consiglio, ha già stabilito il rinvio. E si dice meritoriamente pronto ad attivare una campagna di informazione per chiarire chi, come, quando e, soprattutto, quanto dovrà pagare. Ma non è chiedere troppo che si “sfrutti” il ritardo oltre che per dibattere, come è giusto che sia, sulla maggiore o minore equità della “tassa”, anche per mettere in moto la macchina dei bollettini precompilati, almeno per i proprietari di sole prime case. Nella generale confusione, si farebbe qualcosa per semplificare la vita di molti. Magari ricordandosi anche di quel “saldo” Tarsu i cui conteggi si aspettavano a febbraio, o forse maggio, o forse luglio… Perché è già sgradevole pagare le bollette “stimate”, ma che accada anche con le tasse è un po’ troppo.


Mantenere le promesse

Nello “sventurato” “Impegno Italia”, il documento presentato da Enrico Letta per evitare in extremis la crisi del suo Governo, poco si parlava di Milano.

Enrico Letta con Giuliano Pisapia

Enrico Letta con Giuliano Pisapia

A pagina 32 c’era l’impegno a «completare secondo il calendario previsto le opere connesse a Expo 20115» con l’erogazione dei relativi finanziamenti «entro l’anno» e il potenziale collegamento (pag. 38) con l’individuazione dei dieci poli turistici sui quali indirizzare il flusso dei visitatori internazionali della manifestazione.

Il riferimento al progressivo svuotamento delle Province e alla creazione delle città metropolitane era a pagina 25, dove si chiariva che come farlo si sarebbe definito entro il primo semestre dell’anno. Ancor più in là (entro la fine dell’anno) la definizione di come «riformare il patto di stabilità interno», sostituendolo con non ancora definiti «vincoli all’equilibri di bilancio per gli enti territoriali» (pag. 32).

Una premessa che non avrebbe modificato i contenuti dei bilanci di previsione che i Comuni si apprestano a esaminare, malgrado la promessa (pag. 23) di «semplificare le modalità di calcolo e pagamento delle imposte, in particolare sui beni immobili, e la gestione delle addizionali comunali e regionali.

Era probabilmente inutile cercare in quelle 58 pagine presentate come un programma di legislatura un riferimento preciso alle voci sulle quali si costruisce davvero il bilancio delle amministrazioni locali, ma l’effetto collaterale della crisi di governo è che, anche quest’anno, i Comuni non riusciranno a mantenere la promessa di approvare entro il primo trimestre come parrebbe sensato i loro preventivi.

A Milano ci si era impegnati a farlo entro il 24 marzo, ma nessuna notizia giungerà da Roma su Tasi e fondi di compensazione ancora ancora per qualche settimana e ragione vorrebbe che l’esame di queste partite facesse parte di quella complessiva revisione del sistema di tassazione che è l’ultimo capitolo, fissato a maggio, del programma annunciato da Matteo Renzi nel giorno del suo incarico. Da sindaco dovrebbe ricordarsi dell’impegno, solo verbale, preso dal Governo Letta (che già l’aveva tradito una volta) a coprire la differenza tra gli introiti Imu e Tasi che per Milano vale un centinaio di milioni di euro. Se lo ricorderà anche da premier, o costringerà il Consiglio comunale a replicare l’imbarazzante messa in scena del Bilancio preventivo 2013 approvato quando era già diventato un consuntivo?


Fatta la legge…

Non erano ancora iniziate le operazioni di voto per la fiducia sulla nuova Legge di Stabilità, che già se ne annunciava la modifica. Per Piero Fassino, il presidente dell’Anci, infatti con quella che era la legge di Bilancio, i Comuni, la cui associazione il sindaco di Torino presiede, avrebbero visti tagliate le proprie disponibilità di bilancio per 1,5 miliardi.

Piero Fassino e Giuliano Pisapia

Piero Fassino e Giuliano Pisapia

La previsione di Fassino non dovrebbe essere tanto lontana dalla verità, visto che lo stesso presidente del Consiglio, Enrico Letta, ora ritiene necessaria una modifica della Legge di Stabilità che riassegni ai Comuni quelle risorse. Lo si farà con un decreto, innescando ancora una volta quella macchina infernale che abbiamo già visto operare nel caso, indimenticabile, dell’Imu. Che si riassume nella programmatica incertezza del contributo fiscale che i cittadini saranno tenuti a versare nel 2014, a qualsiasi titolo, nelle casse dell’erario.

Che corrisponde a pari incertezza nella redazione dei bilanci dei Comuni nei quali risiedono. La nuova Iuc sarà pure «una tassa «compiutamente federalista» come il Governo oggi pretende, ma la sua esazione potrà avvenire solo rispettando i “tetti” che le si impongono per legge. E se i Sindaci volessero proteggere i soggetti fiscalmente più deboli con le detrazioni che perfino l’Imu di Monti prevedeva, nel caso della Iuc ne pagherebbero direttamente il conto, così da far crescere anche il miliardo e mezzo di “buco” previsto da Fassino.

Ora, fatta la legge, si sta cercando, programmaticamente e, paradossalmente, nel comune interesse, l’inganno. Senza considerare però che quel miliardo e mezzo che nella Legge di Stabilità non c’è, lo si dovrà pur trovare da qualche altra parte.

Intanto, la redazione dei Bilanci comunali comincerà a slittare e l’ipotesi, virtuosa, di cominciare a discuterne da subito, rivendicata a Palazzo Marino da maggioranza e opposizione, dovrà necessariamente uniformarsi a un calendario dei lavori parlamentari che, ce ne si può dire ragionevolmente certi, non rispetterà i tempi e le aspettative di chi i Comuni li deve governare. Un pessimo biglietto da visita per il 2014.


Fra il dire e il fare

Guido Podestà è il Presidente della Provincia di Milano e non c’è da stupirsi che la difenda. Con iniziative che tanto più si intensificano, quanto più si avvicina la scadenza elettorale del giugno 2014 quando, forse, si tornerà a competere per la sua presidenza.

I ministri Cancellieri e Patroni Griffi presentano la nuova mappa delle Province

I ministri Cancellieri e Patroni Griffi presentano la nuova mappa delle Province

Forse, perché, almeno sulla carta, le province non ci dovrebbero essere più: malgrado la sentenza avversa della Corte costituzionale che ha cancellato quanto previsto nel “Salva Italia” di Mario Monti, il Governo Letta ha confermato la propria volontà di procedere nella loro riforma. Che ne prevede almeno il dimezzamento come promesso da tutte le forze parlamentari, ma non dalla Lega, in campagna elettorale. E dallo stesso Pdl-Forza Italia di cui Podestà è esponente di rilievo.

Le sue preoccupazioni sono di carattere istituzionale, e sulle funzioni dei cosiddetti «enti intermedi» si interroga anche il sindaco di Torino Piero Fassino che parla di «rimodulazione», mentre 44 costituzionalisti, tra i quali Valerio Onida, si sono appellati ai gruppi parlamentari per bloccare la riforma.

Ma l’oggetto del dibattito da tempo si è orientato sul portafoglio: secondo Piero Giarda, prima che passasse il testimone al nuovo “tagliatore” della spesa pubblica Paolo Cottarelli, il solo dimezzamento delle Province (che sono 110) valeva un risparmio dai 370 ai 535 milioni all’anno.

Un dato contestato in premessa da Podestà che, di fronte alla Commissione Affari costituzionali della Camera, ha negato che la riforma produca alcun risparmio forte di una ricerca della Bocconi e del giudizio dello stesso ministro agli Affari regionali, Graziano del Rio che pure è l’estensore del nuovo disegno di legge.

In compenso, Podestà è favorevole alla “città” metropolitana, non a tutte quelle immaginate, ma certamente a quelle di Milano e Napoli. Attenzione però, perché, se il dibattito sulle Province, nel gioco dell’oca delle riforme istituzionali è tornato alla casella di partenza, quello sulle città metropolitane è apparentemente concluso. Dunque, dal 1 gennaio 2014, le città metropolitane ci saranno e si moltiplicano gli incontri fra gli amministratori per stabilire cosa saranno davvero. Podestà è convinto che si debba dare «una risposta adeguata e innovativa al governo di area vasta» e anche che «il territorio del capoluogo costituisce un tutt’uno con i Comuni dell’attuale Provincia». Perché allora almeno la Provincia di Milano dovrebbe sopravvivere a se stessa?

La confusione è totale a testimoniare la distanza che separa le buone intenzioni dalle decisioni, quelle che sembravano irrevocabili e largamente condivise il 6 dicembre 2011. Ma, evidentemente, così non era.


Maroni-Pisapia, intesa non solo obbligata

Lontani da Roma. Forse sta solo in questa constatazione la reciproca disponibilità al confronto che, sempre più spesso, dimostrano il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e il presidente della Lombardia Roberto Maroni. Conta, naturalmente, il galateo istituzionale che il sindaco aveva cercato di mantenere anche con Roberto Formigoni. Ma conta anche la constatazione che condividere, almeno in parte, le proprie agende istituzionali è divenuto essenziale per ottenere qualche successo nel rapporto con un governo centrale sempre più sordo se non apertamente ostile a quando gli chiedono le autonomie locali.

Giuliano Pisapia con Roberto Maroni

Giuliano Pisapia con Roberto Maroni

Il caso Expo è il più evidente. Nulla ha fatto Maroni appena insediato al Pirellone per mantenere Formigoni l’incarico di rappresentare all’estero Expo ed anzi ha lavorato per dimissionarlo: «Non sono certo Pisapia e Maroni che mi possono dire di andarmene», dichiarò, piccato, l’ex governatore nell’aprile scorso. Fu infatti Enrico Letta, un mese dopo, a farlo decadere e nominare Giuseppe Sala commissario unico “complici” in Consiglio dei ministri gli azzurri Maurizio Lupi e Nunzia Di Girolamo, mentre Maurizio Martina (Pd) diventava sottosegretario con delega proprio ad Expo. Segno che la stella del Celeste si andava offuscando ma anche che l’accordo “contro” di lui di Maroni e Pisapia aveva funzionato. Da allora Formigoni nei cantieri di Expo non si è più fatto vedere. In compenso, Roberto Maroni non ha mancato un appuntamento schierandosi al fianco di Enrico Letta e Giorgio Napolitano in ogni occasione nella quale si voleva promuovere Expo come evento nazionale.

Per Pisapia «adesso c’è l’unione di tutte le istituzioni che dimostra la volontà di andare avanti insieme per vincere la sfida», un assist per Maroni per il quale «si deve considerare la Lombardia, Milano e i Comuni interessati come una zona franca da molti vincoli di bilancio che ci sono, altrimenti il percorso è in salita». Eccolo il riferimento a quel patto di stabilità interno contro il quale Pisapia si batte ma che è un vincolo troppo stretto anche per il “collega” Maroni che si dice pronto a violarlo. Il sindaco su questo lo contesta, ma la battaglia per uscire dalla spirale che assegna sempre meno risorse agli enti locali costringendole a tagliare servizi o aumentare tasse e tariffe, li vede schierati dalla stessa parte della barricata. Entrambi devono fare di necessità virtù, ma alcuni punti d’intesa non sembrano solo il frutto di un obbligo dettato dalle circostanze.

Maroni è stato abilissimo a cogliere al balzo la disponibilità dichiarata dal Governo a ospitare nel 2024 le Olimpiadi candidando Milano per dare un futuro certo al destino delle aree Expo, ma anche per esportare a livello nazionale un modello di gestione delle grandi opere a tutela da inefficienze, speculazioni, sprechi, inchieste e tangenti. Così che scontando il fin troppo facile dividendo che Maroni può ottenere da una competizione olimpica con Roma sarà il sindaco di Milano ad accompagnare il presidente della Regione dal presidente del Coni Giovanni Malagò per decidere se e a quali condizioni formalizzare la candidatura.

Anche se non se ne facesse nulla, restano aperti altri tavoli di confronto: il crac annunciato dell’Aler, la fusione Atm-Trenord, i trasferimenti regionali per il trasporto pubblico, temi affrontati nel corso dell’ultimo incontro tra Maroni e Pisapia. E, sullo sfondo, il lavoro. Certo non si può parlare di accordo, piuttosto di leale competizione: qualcosa di molto diverso dal bipolarismo feroce cui ci ha abituato la politica nazionale. Forse solo perché lontani da Roma, Maroni e Pisapia qualcosa di utile possono fare. Persino insieme.

(la Repubblica Milano, 16 settembre 2013)


Olimpiade bicefala

Il 14 febbraio 2012, l’allora primo ministro, Mario Monti, bollava come «irresponsabile» la candidatura dell’Italia ad ospitare, nel 2020, le Olimpiadi. L’8 settembre, l’attuale primo ministro, Enrico Letta, ha dichiarato che si può lavorare alla candidatura 2024.

Esultanza per l'assegnazione dei Giochi a Tokio

Esultanza per l’assegnazione dei Giochi a Tokio

In 18 mesi non è cambiato molto e i segnali di ripresa economica sembrano ancora troppo timidi per impegnare il Paese in un grande progetto. Ma Letta ha evidentemente bisogno di restituire al suo governo anche obiettivi di lunga portata, facendo intendere che il Paese, tra dieci anni, sarà in condizioni certamente migliori delle attuali. Anche perché, se così non fosse, sarebbe probabilme

Allora Lega e Pd dettero atto a Monti di “realismo”, oggi sono pronte a scommettere su un futuro abbastanza remoto probabilmente per le stesse ragioni del primo ministro: da poco giunti al governo, Marino e Zingaretti a Roma e Maroni a Milano possono contrastare la tristezza quotidiana di una amministrazione difficile, con l’impegno in un grande progetto.

Roberto Maroni si è dimostrato pronto a cogliere l’occasione dando un orizzonte ad Expo nel prefigurare un futuro possibile per il dopo esposizione che, ad oggi, è tutt’altro che definito. Dando qualche concretezza al “sogno” , ha certamente marcato un punto di vantaggio nella competizione con Roma. E alimentato, a proprio vantaggi politico, una competizione tra le “due capitali” che esiste da sempre anche sul terreno delle Olimpiadi.

Eppure proprio guardando alle “fatiche” che hanno accompagnato l’accidentato e non ancora concluso percorso di Expo, qualche dubbio sulla candidatura milanese lo si dovrebbe coltivare. Prima di tutto pensando a come, solo di recente con gli interventi di Letta e Napolitano, Expo sia stato riconosciuto come un progetto che doveva impegnare l’intero Paese. Perché le candidature “bicefale”, malgrado la buona volontà del sindaco Giuliano Pisapia, non funzionano come può ben dimostrare la storia, non certo a lieto fine, del doppio hub Malpensa-Fiumicino.

Semmai Olimpiadi dovessero essere che siano dunque a Roma o a Milano. Semmai si sappia dimostrare che con Expo ci si è fatti le ossa, come città e come Paese, per gestire un grande evento senza il tradizionale strascico di inefficienze, speculazioni, sprechi, inchieste e tangenti . Ma lo sapremo solo nel 2015 quando si faranno davvero i conti.

Formalizzare una candidatura prima di allora sarebbe, “montianamente”, «irresponsabile».


Lascia e raddoppia

Se, come tutto lascia prevedere, il Consiglio dei Ministri archivierà l’Imu sulla prima casa, Silvio Berlusconi e il Pdl potranno , legittimamente sostenere, di aver mantenuto la promessa fatta agli elettori in campagna elettorale.

imuUn “successo”, ottenuto superando l’ipotesi che era del Presidente del Consiglio Enrico Letta nel giorno del suo insediamento di riformarla radicalmente, gli orientamenti dei ministri economici e quello di Pd e Lista Civica che parlavano di “rimodularla”. Ignorando anche i richiami di tutte le istituzioni politiche ed economiche europee favorevoli al suo mantenimento. E con con questo confermando la singolarità dell’Italia come unico Paese nel quale non si preveda una tassa sugli immobili e che sembra applicarsi ostinatamente nel continuare complicare una fiscalità di impianto borbonico più che liberale..

Che poi, per raggiungere il risultato, si sia reso necessario “inventare” nuove tasse e gabelle per il cui computo (stando alle molte e diverse anticipazioni) si dovranno mettere al lavoro schiere di commercialisti, sarebbe un male minore per chi all’economia, non solo familiare, applica il detto “pochi, maledetti e subito”.

Prima di impegnarsi in una campagna elettorale che ne avrebbe di molto ridimensionato il rigore, l’allora Presidente del Consiglio Mario Monti ebbe a preconizzare che chi avesse cancellato l’Imu, si sarebbe trovato a raddoppiarla l’anno dopo. C’è solo da sperare che sbagliasse, anche se l’andamento dello spread dice l’esatto contrario.


Cento giorni senza gloria

«Maroni si sente migliore di Bossi e di Formigoni, ma ha la metà dei voti e la metà dei risultati. Sognare fa bene, ma prima o poi ti svegliano». Più che un commento, un epitaffio quello che l’ex governatore Roberto Formigoni affida a twitter il 5 luglio nel giorno in cui Maroni celebra i suoi primi cento giorni al Pirellone.

IL Presidente, Roberto Maroni

IL Presidente, Roberto Maroni

La fonte è certamente inquinata e altro non ci si poteva attendere da un Cesare sopravvissuto alle pugnalate di Bruto, ma quel «i migliori primi cento giorni di sempre» che Maroni premette a un puntiglioso elenco di cose fatte da quando è al governo della Lombardia, è contestato anche da chi ne presiede l’aula consiliare, il ciellino Raffaele Cattaneo: «Mi sembra fuori luogo invocare risultati senza precedenti». Mette in fila i numeri (340 delibere approvate contro 540) e i soldi (meno della metà le risorse effettivamente messe a disposizione). E conclude rivolgendosi all’aula: «Meno psicoanalisi e più realismo».

Non esattamente quello che ci potrebbe attendere da un fedele alleato e una buona piattaforma per le opposizioni che confermano il proprio, scontato, giudizio negativo su quella che Maroni afferma essere la «rivoluzione della concretezza». Della quale si colgono però solo pallidi segnali.

I costi della politica sono stati tagliati, ma ancora non hanno coinvolto gli assessori e i manager di nomina pubblica. I nuovi ticket, imposti negli ultimi giorni della giunta Formigoni, sono stati cancellati, ma di verifica delle convenzioni in essere non si parla, sui nuovi poli medico scientifici (Cerba e Città della Salute) ci si limita a prendere atto della situazione e la promessa elettorale di abolire i ticket resta tale. Alla sciagurata conduzione dell’Aler si è posto rimedio con il commissariamento, ma la riforma dell’ente è rinviata. Rinvio anche alla costruzione di nuovi centri commerciali in omaggio a una, solo annunciata, nuova legge a tutela del territorio: se ne riparlerà a gennaio. I fondi per la cassa integrazione sono stati meritoriamente anticipati, ma di un piano per il lavoro, a partire dalla agenzie territoriali e dai centri di formazione, non c’è traccia. L’impegno della Regione nella lotta contro le ludopatie è certo, ma potrebbe essere vanificato dalla legislazione nazionale vigente esattamente come potrebbe accadere per le normative sulla sicurezza del lavoro e la prevenzione delle infiltrazioni mafiose. Maroni ha certamente ritrovato equilibrio nella complessa gestione della pratica Expo e la sua presenza “istituzionale” ieri al fianco di Enrico Letta e Giorgio Napolitano lo testimonia, anche se mal si concilia con i ribaditi progetti autonomisti. Perché la macroregione del Nord e la promessa di trattenervi il 75% delle risorse destinate alla fiscalità generale restano parole d’ordine elettorali buone per la prossima campagna. Quella, certa, delle Europee se la previsione che lascia al governo Letta pochi mesi di vita si rivelerà errata.

Perché il governatore della Lombardia, come gli rimprovera quotidianamente Umberto Bossi, è anche il segretario della Lega che non può permettersi di perdere altri elettori, oltre ai milioni che già hanno smesso di votarla, pena l’assoluta irrilevanza politica, soprattutto di fronte a un indocile alleato che tenta in ogni modo il rilancio.

Maroni rivendica di essere stato «eletto dal popolo lombardo» e di avere «la responsabilità di prendere decisioni». E minaccia: «Se qualcuno pensa di mettersi di mezzo per altri scopi, per giochi di potere, per interessi e affari, un minuto dopo si va tutti a casa».  Il qualcuno, come dimostra la rissa continua sulle nomine, è già al lavoro. E sarà difficile conciliare questa realtà con quanto Maroni si è posto come obiettivo: «Voglio continuità con le cose buone, ma discontinuità con il sistema di potere di prima. Voglio premiare il merito e mettere gente nuova». E ancora: «A noi non interessano i contenitori, ma i contenuti». Di gente nuova se n’è vista poca e nei contenitori c’è ancora molta merce avariata. Cento giorni non sono bastati.

(la Repubblica Milano, 8 luglio 2013)


Fare i conti con la realtà

La partita sul Bilancio del Comune di Milano resta sospesa. La tagliola di tagli di budget e aumenti di tasse, imposte e tariffe per recuperare i 192 milioni di euro che ancora mancano all’appello petr far quadrare i conti è pronta a scattare, ma ora si chiede al Governo di ritardare i tempi, sino a settembre. Perché quello steso dall’assessore Francesca Balzani resta un Bilancio al buio, per almeno una voce decisiva, quella dell’Imu prima casa, per la quale è oggi impossibile iscrivere una cifra certa al capitolo entrate.

Attilio Fontana, sindaco di Varese e presidente dell'Anci

Attilio Fontana, sindaco di Varese e presidente dell’Anci

Chiedere un rinvio sembra dunque una mossa obbligata. E però, nel farlo si perpetua un’anomalia che molto ci dice sulla “qualità” della legislazione tributaria.

Ragione vorrebbe infatti che, proprio in quanto preventivi, i bilanci venissero redatti entro il 31 dicembre dell’anno precedente per poi divenire gli strumenti concreti e verificabili dell’amministrazione cittadina. Ma così non è. E, quanto peggio, così non è mai stato. Così oggi si è pronti a replicare quanto è già accaduto lo scorso anno, quando la scadenza slittò prima a settembre, poi a ottobre. Bilanci preventivi che si consolidano quasi a fine d’esercizio quando, sempre a termine di legge, a settembre se ne dovrebbe verificare l’equilibrio.

In queste condizioni è facile prevedere che il Governo presieduto da Enrico Letta concederà la proroga che aveva peraltro suggerito di richiedere proprio all’Anci – l’associazione dei Comuni –  nell’incontro della scorsa settimana ottenendone un primo rifiuto. E se non volesse prendere atto in prima persona del pasticcio già fatto sospendendo il pagamento della prima rata dell’Imu prima casa, ci sono già parlamentari pronti a intestarsi la proposta per togliere dall’imbarazzo l’esecutivo.

Più difficile credere che si concederà al Comune di trattenere più del 75% del gettito Imu prima casa, ammesso che quel gettito a settembre esista ancora se il Governo cederà al diktat di Berlusconi. Col risultato che i 192 milioni che mancano diverranno improvvisamente 1.000.

La partita dei finanziamenti Expo con la “violazione programmata” del patto di stabilità, si gioca su un tavolo diverso da quello delle partite correnti, anche se è su questo terreno che si misurerà la reale volontà (e possibilità), del Governo – per bocca dello stesso Letta – a fare dell’Esposizione mondiale un vero strumento strategico per il rilancio dell’economia nazionale.

Se anche il Comune ottenesse quel che chiede, però, l’emergenza contabile avrebbe comunque distorto i criteri di stesura del suo bilancio, portando ai massimi livelli i prelievi possibili e togliendo loro ogni progressività come avverrà per l’addizionale Irpef che prevede un’aliquota unica dello 0,80% per tutti i redditi superiori ai 15mila euro gettando le basi concrete per prevedibili ricorsi alla Corte Costituzionale.

Di fronte al rinvio, l’opposizione rimprovera a Pisapia quel che dovrebbe rimproverare a se stessa e cioè di non voler fare i conti con la realtà, mentre dal fronte sindacale si ribadisce il no a risparmi ottenuti tagliando i servizi e aumentando l’Irpef e si sollecita un intervento dal governo a sostegno delle amministrazioni locali: un altro modo per non fare i conti con la realtà.

Il presidente dell’Anci, il sindaco leghista di Varese Attilio Fontana, avrebbe voluto che tutti i comuni non presentassero i propri bilanci preventivi alla scadenza di giugno, rischiando anche il commissariamento prefettizio («vorrei proprio vedere dove li trovano 8.200 prefetti», ha detto). Troppo per i suoi colleghi, ma sembra impossibile continuare a far finta di nulla. Rinviando ogni decisione.

(la Repubblica Milano, 26 maggio 2013)