Profughi “elettorali”

L’emergenza profughi è all’attenzione anche della Lega. Che, ieri, ha deciso di affidare ai suoi vice-capogruppo in Consiglio regionale, Jari Colla e Fabio Rolfi, un sopralluogo in Stazione Centrale. La coppia in un comunicato prontamente emesso ha descritto «una situazione a dir poco intollerabile», individuandone l’origine nel «buonismo del Governo di Sinistra».

Profughi in Stazione Centrale

Profughi in Stazione Centrale

A prescindere dal fatto che il Governo è di coalizione e che il responsabile degli Interni si chiama Angelino Alfano e risulta fra i fondatori di un partito che non si chiama Nuovo centro sinistra, ma Nuovo centro destra, il Governo più che buonista si dimostra assolutamente disinteressato alla vicenda come da mesi ripete l’assessore Pierfrancesco Majorino che quotidianamente cerca di affrontare la situazione con l’aiuto delle associazioni non-profit.
Il “buonismo” si denuncia peraltro in una giornata nella quale si è avuto un nuovo esempio di come l’emergenza venga concretamente affrontata: a Taranto, una ancora imprecisata “autorità” ha affittato degli autobus caricandovi gli ultimi sbarcati per abbandonarli poi, così come erano arrivati, in una stazione di Roma. Che siano gli stessi arrivati poi a Milano nessuno, tranne loro, può dirlo, perché come è costume, di quel “transito” nessuno, tantomeno il Comune di Milano, era stato informato.
Dall’incredibile evolversi della situazione, Colla e Rolfi traggono la convinzione che «quelli che sono arrivati a Milano, sono i nuovi aspiranti elettori di Pisapia e di Renzi». Un passaggio ardimentoso poiché non c’è chi non sappia che per votare il primo bisognerebbe essere almeno residente a Milano (e cittadino comunitario), per eleggere il secondo cittadino italiano. Che non è lo “status” del profugo, anche nel caso venisse accolta una sua richiesta d’asilo (il che avviene in un caso su dieci dopo un’attesa di circa 25 mesi rispetto ai 45 giorni fissati per legge) che dà semplicemente diritto di permanere sul territorio nazionale, di usufruire dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione scolastica per i minori. Colla e Rolfi lo dovrebbero sapere perché il presunto “Piano Nazionale Asilo” istituito dal secondo Governo Berlusconi nel giugno 2001 coinvolgendo Ministero degli Interni, ACNUR, ANCI è stato recepito nella pur pessima legge Bossi-Fini.
Che dunque il diabolico piano del Governo Renzi sia «cercare di incrementare i propri voti incentivando gli sbarchi con l’operazione Mare Nostrum a spese dei contribuenti lombardi» come conclude la nota dei due consiglieri leghisti, è pura fantasia.
Sorprende piuttosto che Colla e Rolfi, tanto preoccupati del bottino elettorale che la sinistra si vorrebbe assicurare, non spendano una parola di solidarietà con quell’umanità fatta di uomini donne e bambini in fuga dalla guerra che hanno incontrato in Stazione Centrale e che definiscono, allegando le foto, semplicemente «clandestini». Per loro, evidentemente, non c’è da distinguere tra immigrati, clandestini, rifugiati e richiedenti asilo. Perché salvarli costa troppo ai contribuenti lombardi. E per gestirli servirebbe un vero ministro degli Interni.


Bonus-malus

Il bonus fiscale non è ancora entrato nelle tasche dei lavoratori dipendenti che già si comincia a calcolare quanto di esso tornerà al fisco anche se nella sua versione regionale e comunale. Un “malus” che potrebbe essere richiesto non solo a quanti beneficeranno del bonus, ma anche a pensionati, “incapienti” e partite Iva.

L'assessore al Bilancio del Comune di Milano, Francesca Balzani

L’assessore al Bilancio del Comune di Milano, Francesca Balzani

Nelle coperture dei miliardi necessari a perfezionare l’operazione, infatti, 700 milioni dovranno essere reperiti dalle Regioni e altrettanti dagli Enti locali. Il Governo delega loro dove e come intervenire per ridurre la spesa, ma se i risultati non saranno quelli attesi si riserva di intervenire direttamente con il taglio lineare dei trasferimenti.

Non senza polemica, Piero Fassino, presidente dell’Anci e sindaco di Torino, ha notato che «ai Comuni si chiederebbero 340 milioni sono in capo ai Comuni che equivalgono esattamente a quanto il governo centrale deve restituire alle amministrazioni locali per il mantenimento degli uffici giudiziari dello Stato». Almeno a livello comunale, tutto potrebbe risolversi insomma in una partita di giro, ma c’è da dubitare che questo accada davvero.

La conseguenza sarà dunque quella di rimaneggiare i bilanci appena approntati rinviandone l’approvazione a una data che sempre più si allontanerà da quelle che, dopo la grottesca esperienza dello scorso anno (quando si erano votati i preventivi ai primi di dicembre), erano state ragionevolmente promesse. Con l’aggravante che, il 25 maggio, si voterà in migliaia di Comuni per rinnovare le amministrazioni che di quei bilanci sono responsabili ma che, se non rinnovate, non lo saranno più.

Gli interventi richiesti dal Governo non sono di scarso rilievo prevedendo la rinegoziazione dei contratti per i servizi e gli appalti, la centralizzazione degli acquisti, il taglio degli stipendi e lo smantellamento delle municipalizzate.

Nulla è stato anticipato di quanto tutto questo “costerà” alla Lombardia e ai suoi Comuni, ma lo sforzo che si dovrà chiedere agli amministratori sarà quello di non cedere alla facile tentazione di risolvere il tutto con un “piccolo” aumento delle tasse e delle tariffe locali. Anche per poter riconoscere tra le amministrazioni quelle davvero virtuose da quelle che si limitano a chiedere il ripiano dei propri bilanci in rosso a piè di lista. Che è pratica comune e recentissima, non certo di conforto per quanti da oggi dovranno ricominciare a far di conto.


Fatta la legge…

Non erano ancora iniziate le operazioni di voto per la fiducia sulla nuova Legge di Stabilità, che già se ne annunciava la modifica. Per Piero Fassino, il presidente dell’Anci, infatti con quella che era la legge di Bilancio, i Comuni, la cui associazione il sindaco di Torino presiede, avrebbero visti tagliate le proprie disponibilità di bilancio per 1,5 miliardi.

Piero Fassino e Giuliano Pisapia

Piero Fassino e Giuliano Pisapia

La previsione di Fassino non dovrebbe essere tanto lontana dalla verità, visto che lo stesso presidente del Consiglio, Enrico Letta, ora ritiene necessaria una modifica della Legge di Stabilità che riassegni ai Comuni quelle risorse. Lo si farà con un decreto, innescando ancora una volta quella macchina infernale che abbiamo già visto operare nel caso, indimenticabile, dell’Imu. Che si riassume nella programmatica incertezza del contributo fiscale che i cittadini saranno tenuti a versare nel 2014, a qualsiasi titolo, nelle casse dell’erario.

Che corrisponde a pari incertezza nella redazione dei bilanci dei Comuni nei quali risiedono. La nuova Iuc sarà pure «una tassa «compiutamente federalista» come il Governo oggi pretende, ma la sua esazione potrà avvenire solo rispettando i “tetti” che le si impongono per legge. E se i Sindaci volessero proteggere i soggetti fiscalmente più deboli con le detrazioni che perfino l’Imu di Monti prevedeva, nel caso della Iuc ne pagherebbero direttamente il conto, così da far crescere anche il miliardo e mezzo di “buco” previsto da Fassino.

Ora, fatta la legge, si sta cercando, programmaticamente e, paradossalmente, nel comune interesse, l’inganno. Senza considerare però che quel miliardo e mezzo che nella Legge di Stabilità non c’è, lo si dovrà pur trovare da qualche altra parte.

Intanto, la redazione dei Bilanci comunali comincerà a slittare e l’ipotesi, virtuosa, di cominciare a discuterne da subito, rivendicata a Palazzo Marino da maggioranza e opposizione, dovrà necessariamente uniformarsi a un calendario dei lavori parlamentari che, ce ne si può dire ragionevolmente certi, non rispetterà i tempi e le aspettative di chi i Comuni li deve governare. Un pessimo biglietto da visita per il 2014.


Il brivido dell’imprevisto

Se il calendario d’aula verrà rispettato, l’11 novembre si voterà il bilancio preventivo del Comune di Milano. E’ facile ironia notare che la “previsione” a questo punto riguarda le prossime settimane e che, dunque, più che di preventivo si dovrebbe parlare di consuntivo. E’ viceversa utile rimarcare che a questo esito paradossale si è giunti solo grazie alle incertezze e ai rimpalli che da mesi alimentano le cronache politiche e parlamentari.

Protesta anti-tasse

Protesta anti-tasse

Ora è di tutti, maggioranza e opposizione, l’impegno che tutto questo non si ripeta. Anzi, il consigliere radicale Marco Cappato, definendo quanto accaduto «un’indecenza istituzionale e politica» invita il sindaco Giuliano Pisapia a indicare una data certa entro la quale sarà presentato il bilancio preventivo 2014.

Se lo facesse, probabilmente, assumerebbe un impegno che, non per sua colpa, non potrebbe onorare. Ma quello sul quale potrebbe davvero impegnarsi è tracciare le linee generali di quel Bilancio. Quantomeno per evitare che, come sta accadendo quest’anno, il cittadino-contribuente non si trovi a non sapere neanche se, quando, quanto e perfino a chi dovrà pagare.

Soprattutto in materia fiscale, il diavolo sta nei dettagli e quindi le “tecnicalità” sono spesso decisive, ma non dovrebbe essere concesso portare i contribuenti allo sfinimento e costringerli ad osservare i propri doveri fiscali concedendo un preavviso di pochi giorni, di ore se si guarda alle dichiarazioni dei redditi, imponendo loro di misurarsi col dubbio brivido dell’imprevisto.

Sarebbe quella l’occasione per chiarire alcuni quesiti di fondo. Il primo è sapere se, nelle condizioni date, il Comune spenderà nel 2014 più o meno di quanto ha speso nel 2013, perché, su quali partite. Nel caso poi si preveda di dover affrontare nuove uscite, individuare le necessarie coperture, evitando le fantasiose e chiassose improvvisazioni che caratterizzano le ultime concitate fasi dell’approvazione del Bilancio da dove spuntano privatizzazioni, cessioni immobiliari, rivalutazioni e dividendi extrabilancio.

Sarebbe poi il caso di prendere in mano per tempo le tabelle redatte dalla Copaff, la commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale istituita dal ministero dell’Economia, dove si segnalano gli scostamenti di spesa dei singoli comuni rispetto ai «fabbisogni standard». Lì si scopre che Milano, ad esempio, spende meno di quanto sarebbe previsto per le “funzioni generali” (-5,3%). Ma questo è anche lo strumento che il ministero si è dato per individuare 40 miliardi di sprechi e tagliarne da subito 4: se non fossero state redatte con cura, il Comune si troverebbe nuovamente di fronte a un “vincolo esterno” imprevisto quanto evitabile.

Ci sarebbe poi da chiarire in quella sede la natura della fiscalità locale: chiarirsela e poi chiarirla al governo nazionale anche attraverso l’Anci. Perché la non ancora nata Trise, dal pochissimo che se ne riesce a capire, sembra già assommare il peggio


Penultimatum

Graziano Delrio, ministro per gli affari regionali e le autonomie ma, soprattutto, ex sindaco di Reggio Emilia sa bene che cosa i suoi ex colleghi pretendono dal Governo. E ha offerto loro l’assicurazione che «entro la settimana» i fondi che il Tesoro “deve” alle amministrazioni locali per il mancato incasso della prima rata dell’Imu verranno liquidati.

Il sindaco di Torino e presidente dell'Anci, Piero Fassino

Il sindaco di Torino e presidente dell’Anci, Piero Fassino

Delrio è un uomo d’onore e non c’è motivo per pensare che il suo impegno non verrà mantenuto. Ma l’intera partita resta così strettamente collegata a quella del Bilancio nazionale da far temere che non tutto filerà liscio, soprattutto quando per l’Imu 2013, virtualmente aumentata per ragioni di cassa da Comuni all’aliquota massima, si passerà all’incasso.

I sindaci riuniti ieri a Milano di fronte a Piero Fassino che ne coordina le attività nazionali, si dicono pronti quasi a tutto per sostenere le proprie richieste che si estendono alla garanzia dei trasferimenti statali e a meccanismi più flessibili nell’applicazione del patto di stabilità interna, escludendone, ad esempio, gli investimenti. Ma se la alla loro iniziativa il Governo opponesse l’ormai sperimentatissimo muro di gomma? Fassino ha replicato con un «Vedremo…», che non suona esattamente come una minaccia. Un penultimatum che evita di indicare come i sindaci potranno sostenere i propri argomenti anche se, nei mesi scorsi, si era parlato perfino di dimissioni di massa, sfondamenti del patto di stabilità, mancata approvazione dei Bilanci aprendo la strada a commissariamenti di massa.

Se spazi di negoziazione ancora vi sono, comportandosi così i sindaci dimostrano grande “responsabilità”. Ma forse un “piano B” andrebbe studiato. E proiettato sulla futura Service Tax che verrà sì incassata a livello locale, garantendo – si dice – alle amministrazione ampi margini di manovra, ma sulla base di meccanismi e procedure che si stanno elaborando a livello nazionale. Col rischio più che concreto che su di essa si scarichino le partite fiscali che il Governo non è riuscito a risolvere e che già si annunciano nell’acrobatico algoritmo che – pare – permetterà di calcolarla.

Chiedere che nel testo della legge che istituirà la nuova tassa si tenga davvero conto delle concrete necessità delle fiscalità locali, sarebbe un vero ultimatum. E la migliore garanzia che la Service Tax  non si presenti alla fine come uno dei tanti mostriciattoli partoriti negli ultimi anni dalla inesauribile fantasia fiscale del legislatore.


Cementificare “conviene”

«Siamo di fronte a una situazione grave e insostenibile, che non lascia intravedere una soluzione alle problematiche che costantemente denunciamo. È necessario un cambio di marcia». Così introduce il suo ultimo appello al Governo il sindaco di Varese e presidente dell’Anci Lombardia, il leghista Attilio Fontana.

cantiereChe l’intera materia dei tributi locali e dei vincoli di bilancio sia divenuta un’emergenza è giudizio che, trasversalmente, condividono i primi cittadini di ogni orientamento politico. Ma il Governo ha deciso di non decidere, di rinviare, concedendo solo che i Bilanci dei comuni vengano presentati con l’abituale ritardo facendone più che dei preventivi, come ragione (anche contabile) vorrebbe, dei consuntivi.

L’unica “concessione” affiorata dalle pieghe del decreto “sblocca debiti” è prorogare per altri due anni la possibilità di destinare alla spesa corrente anche gli oneri di urbanizzazione, riservandone solo una quota alla manutenzione di strade, fogne, verde e servizi.

La norma era stata prorogata anno dopo anno dal 2008 al 2012, fino a quando, nella sua legge di Stabilità, il Governo Monti l’aveva cancellata. Con molte ragioni visto che i Comuni, potendo fare cassa con gli oneri di urbanizzazione, erano fortemente incentivati ad autorizzare i più pazzeschi progetti di lottizzazione privata per auto-finanziarsi. Una pratica potenzialmente criminogena che ha comunque favorito l’ulteriore cementificazione del territorio.

Per Legambiente la decisione presa dal Parlamento «ci farà assistere ancora a trattative e scambi tra sindaci e costruttori e alla realizzazione di nuovi palazzi in cambio di risorse utilizzate per pagare gli stipendi e tenere aperti i servizi comunali. Un ragionamento che incentiva il consumo di nuovo suolo senza garantire i servizi essenziali alle periferie».

Unico, per il momento, a raccogliere l’allarme è Paolo Micheli della Lista civica Ambrosoli: «È incredibile che da una parte si rassicurino i cittadini di voler contenere il consumo di suolo agricolo e dall’altra, con una misura inserita nel decreto sblocca debiti delle amministrazioni pubbliche, si presti il fianco a lobby e speculatori. Sono allibito e faccio appello affinché tutti i parlamentari che hanno a cuore il nostro Paese e il suo territorio dicano no a questa pessima decisione e la fermino nel passaggio che il decreto avrà alla Camera».

Una misura che umilia soprattutto le amministrazioni virtuose che hanno deciso di dire no al cemento mettendo a punto Pgt che vietano ogni ulteriore consumo di suolo. Come nel caso di Cernusco sul Naviglio che, proprio per questo, verrà premiato dalla Regione. Un riconoscimento che suonerà come una beffa all’impegno del sindaco, Eugenio Comencini, visto che, annota ancora Paolo Micheli, «in Lombardia negli ultimi anni il suolo è stato consumato al ritmo di 140mila metri quadrati, ovvero l’equivalente di circa 20 campi di calcio al giorno, per un totale di quasi 5mila ettari l’anno coperti da cemento e asfalto, distrutti dall’edilizia residenziale e commerciale, da strade, impianti industriali, centri commerciali e capannoni».


Fare i conti con la realtà

La partita sul Bilancio del Comune di Milano resta sospesa. La tagliola di tagli di budget e aumenti di tasse, imposte e tariffe per recuperare i 192 milioni di euro che ancora mancano all’appello petr far quadrare i conti è pronta a scattare, ma ora si chiede al Governo di ritardare i tempi, sino a settembre. Perché quello steso dall’assessore Francesca Balzani resta un Bilancio al buio, per almeno una voce decisiva, quella dell’Imu prima casa, per la quale è oggi impossibile iscrivere una cifra certa al capitolo entrate.

Attilio Fontana, sindaco di Varese e presidente dell'Anci

Attilio Fontana, sindaco di Varese e presidente dell’Anci

Chiedere un rinvio sembra dunque una mossa obbligata. E però, nel farlo si perpetua un’anomalia che molto ci dice sulla “qualità” della legislazione tributaria.

Ragione vorrebbe infatti che, proprio in quanto preventivi, i bilanci venissero redatti entro il 31 dicembre dell’anno precedente per poi divenire gli strumenti concreti e verificabili dell’amministrazione cittadina. Ma così non è. E, quanto peggio, così non è mai stato. Così oggi si è pronti a replicare quanto è già accaduto lo scorso anno, quando la scadenza slittò prima a settembre, poi a ottobre. Bilanci preventivi che si consolidano quasi a fine d’esercizio quando, sempre a termine di legge, a settembre se ne dovrebbe verificare l’equilibrio.

In queste condizioni è facile prevedere che il Governo presieduto da Enrico Letta concederà la proroga che aveva peraltro suggerito di richiedere proprio all’Anci – l’associazione dei Comuni –  nell’incontro della scorsa settimana ottenendone un primo rifiuto. E se non volesse prendere atto in prima persona del pasticcio già fatto sospendendo il pagamento della prima rata dell’Imu prima casa, ci sono già parlamentari pronti a intestarsi la proposta per togliere dall’imbarazzo l’esecutivo.

Più difficile credere che si concederà al Comune di trattenere più del 75% del gettito Imu prima casa, ammesso che quel gettito a settembre esista ancora se il Governo cederà al diktat di Berlusconi. Col risultato che i 192 milioni che mancano diverranno improvvisamente 1.000.

La partita dei finanziamenti Expo con la “violazione programmata” del patto di stabilità, si gioca su un tavolo diverso da quello delle partite correnti, anche se è su questo terreno che si misurerà la reale volontà (e possibilità), del Governo – per bocca dello stesso Letta – a fare dell’Esposizione mondiale un vero strumento strategico per il rilancio dell’economia nazionale.

Se anche il Comune ottenesse quel che chiede, però, l’emergenza contabile avrebbe comunque distorto i criteri di stesura del suo bilancio, portando ai massimi livelli i prelievi possibili e togliendo loro ogni progressività come avverrà per l’addizionale Irpef che prevede un’aliquota unica dello 0,80% per tutti i redditi superiori ai 15mila euro gettando le basi concrete per prevedibili ricorsi alla Corte Costituzionale.

Di fronte al rinvio, l’opposizione rimprovera a Pisapia quel che dovrebbe rimproverare a se stessa e cioè di non voler fare i conti con la realtà, mentre dal fronte sindacale si ribadisce il no a risparmi ottenuti tagliando i servizi e aumentando l’Irpef e si sollecita un intervento dal governo a sostegno delle amministrazioni locali: un altro modo per non fare i conti con la realtà.

Il presidente dell’Anci, il sindaco leghista di Varese Attilio Fontana, avrebbe voluto che tutti i comuni non presentassero i propri bilanci preventivi alla scadenza di giugno, rischiando anche il commissariamento prefettizio («vorrei proprio vedere dove li trovano 8.200 prefetti», ha detto). Troppo per i suoi colleghi, ma sembra impossibile continuare a far finta di nulla. Rinviando ogni decisione.

(la Repubblica Milano, 26 maggio 2013)


Imu alla resa dei conti

Poco più di un mese fa, il 20 maggio, Graziano del Rio, il presidente dell’Anci, presentava i risultati di uno studio dell’associazione fra i comuni italiani che prevedeva per la neonata Imu un gettito di 2,5 miliardi inferiore a quello stimato da Governo (21 miliardi). E, su queste basi,  annunciava la necessità, a dicembre, di un ulteriore rialzo delle aliquote.  Per parte sua il Governo per bocca del sottosegretario all’Economia Vieri Ceriani dichiarava di attendersi  invece un sovra-gettito di 3 miliardi di euro. Oggi possiamo tranquillamente dire che erano numeri dati a caso perché qualsiasi statistica mal tollera degli scostamenti del 20 per cento.

Meglio sarebbe dire che quelle ufficialmente stimate dal Governo, se Vieri Ceriani non avesse voluto strafare, erano più attendibili di quelle considerate dai comuni che, come esattori loro malgrado, avrebbero viceversa dovuto disporre delle informazioni più attendibili sul loro territorio.

Il dato di 9,5 miliardi come pagamento della prima tranche dell’Imu ci dice anche che i contribuenti, per quando imbufaliti per dover mettere mano al portafoglio, hanno tenuto nel giusto conto gli inviti all’obiezione fiscale che loro rivolgevano i sindaci guerrieri della Lega (che conferma, senza imbarazzo, di aver regolarmente pagato l’Imu sulla storica sede di via Bellerio) e alcuni incendiari dirigenti del Pdl come Daniela Santanché, allora pronta a ritardare il pagamento perché si cogliesse la grande protesta che accompagnava l’introduzione della nuova imposta. Nulla di fatto come raccontano sempre i numeri, quelli veri: innescare la protesta fiscale, se non si tratta di quote latte o del canone televisivo (che infatti si pensa di far pagare con la bolletta elettrica, come l’Imu-equivalente in Grecia), non trova molti seguaci . Anche se nel Paese si continuano a evadere 200 miliardi di tasse.

Ma, lette le tabelle, bisognerà pur dire anche che, se la qualità dei dati sui quali si misurano le scelte del governo è quella dimostrata dall’Anci, il dibattito appena avviato sulla spending review rischia di avere basi poso solide. Prendere dunque nota di tutti i numeri che arricchiscono le cronache politico economiche di questi giorni, appuntare le fonti, valutare le ricette e le proiezioni… e attendere pazientemente che si arrivi alla resa dei conti per stabilire chi siano gli improvvisatori e gli incendiari.


Il Comune esattore

Oggi i sindaci italiani avrebbero dovuto sfilare a Venezia per protestare contro la nuova legislazione fiscale. Il terremoto in Emilia ha fatto rinviare la manifestazione al 31 maggio, ma gli argomenti di dissenso restano tutti di attualità: Tesoreria unica, Imu, patto di stabilità…

Tra drammi e recriminazioni, si è fatta anche largo la proposta, più o meno bipartisan e sostenuta con toni più o meno accesi, che gli enti locali rinuncino alla convenzione con Equitalia per poter provvedere autonomamente alla riscossione risparmiando sull’elevato aggio (9%) preteso dalla società mista Inps-Agenzia delle Entrate e su un approccio più “comprensivo” nei confronti dei contribuenti.

Una “rivendicazione” molto sottolineata durante la campagna elettorale per le Amministrative, ma che meriterebbe qualche “aggiustamento”.

Una prima precisazione è, infatti, necessaria: non si tratta di una proposta, ma di un obbligo. E’ la nuova legislazione fiscale che stabilisce che, dal 1 gennaio 2013, gli enti locali debbano attrezzarsi per riscuotere autonomamente le tasse.  Potevano farlo fin dal 1997, ma in pochi hanno colto l’occasione il che suggerisce cautela di fronte a quasi generali entusiasmi.

Innanzitutto sulla reale capacità degli enti locali di farsi esattori.  Facciamo un passo indietro. Fino al 2005 la riscossione dei tributi e di quelli evasi (120 miliardi di euro all’anno) era affidata in concessione a 36 operatori di proprietà di 54 banche e 35 soggetti privati che operavano in 94 ambiti provinciali. Il sistema, che impegnava circa 10mila persone, funzionava come peggio non si potesse immaginare: 1 miliardo di riscossioni nel triennio 2000-2002 senza considerare le centinaia di inchieste per corruzione che vi si innestavano e i loschi incroci criminali come nel caso siciliano dei Salvo.

Giulio Tremonti, e gliene va dato merito, sbaracca tutto, crea una spa pubblica e il “vampiro” Equitalia che, agli esordi (1 ottobre 2006), già riscuote 3,8 miliardi di tasse evase, che, nel 2010, diventano 8,9 e, nel 2011, 12,7. Fa, insomma, lotta all’evasione con metodi certamente discutibili, ma comunque più efficaci di quelli già sperimentati. E si fa pagare cara, con quell’aggio del 9% (che oggi si pensa di far scendere al 7%, miracoli della concorrenza solo annunciata!). Ma anche perché la neonata Equitalia ha assorbito i dipendenti delle concessionarie locali gonfiando i propri organici fino a 8mila unità.

Le amministrazioni locali rimproverano a Equitalia una scarsa efficienza nella riscossione dei tributi locali che “valgono” relativamente poco ma “costano molto” in sede di recupero. Equitalia obietta che proprio dalle amministrazioni locali arrivano il maggior numero di “cartelle pazze” il che, ovviamente, complica molto il suo lavoro facendo scendere al 16% la percentuale di recupero dell’insoluto delle cartelle emesse dai comuni e dagli altri enti territoriali. Ma, sfidando ogni logica, proprio di quelle tasse ci si vorrebbe tornare gestori. Senza che dal Tesoro arrivi una lira. Il sottosegretario Vieri Ceriani è stato brutale sull’argomento: «Fatelo, ma non pensate di chiedere al Tesoro gli strumenti di esazione». Che, tradotto, significa che il software e l’hardware necessario ai controlli e, soprattutto, il personale ad essi destinato saranno ad esclusivo carico delle amministrazioni locali. L’Anci si dichiara comunque pronta a rendere operativa la sua spa mista pubblico-privato promettendo un aggio del 7% nella presunzione che, comunque, i suoi costi di esazione possano essere inferiori a quelli di Equitalia e con condizioni di pagamento che dovranno essere più favorevoli di quelle in base alle quali già oggi vengono concesse 30mila rateazioni al mese in formati che vanno fino ai 6 anni.

Che la maggior parte delle “cartelle pazze” nascano a livello locale, l’Anci lo nega malgrado il dato sia confermato dalla Corte dei Conti. E dall’esperienza empirica. Ultimo esempio solo due giorni fa a Milano: sarebbero sbagliati il 5% dei 150mila verbali staccati in due mesi per Area C: 8 mila multe da cancellare. E ogni anno di “cartelle pazze ce n’è una raffica: per i bolli auto nel settembre 2010, per gli striscioni stradali nel 2010 e via elencando fino a quando la magistratura non cancella tutto come è avvenuto nel 2008 quando finirono al macero 100mila cartelle esattoriali emesse tra il 2002 e il 2003. E poi ci sono le cartelle che pazze non sono ma che non si riescono a incassare: 40 milioni sui ticket sanitari, 25 milioni di soste vietate e accessi irregolari fino a scoprire che il 10% dei bolli auto sono irregolari: 780mila pratiche aperte. A Milano e in Lombardia dove le istituzioni si dicono più efficienti di quanto non lo siano in altre zone d’Italia.

I contribuenti poi le tasse tentano di non pagarle e, infatti, c’è un contenzioso da 8-10 miliardi a livello nazionale, di cui 1 prossimo alla prescrizione che rischia oggi di restare sospeso nel limbo di competenze tra Equitalia e le nuove strutture di esazione locali e che rischia di affondare anche il più solido dei bilanci comunali. Chi se ne occuperà e ne sosterrà i relativi costi di incasso?

Sarebbe meglio scoprirlo prima del 1 gennaio 2013 e guardare con molta più cautela di quanto si stia facendo al tema del fisco locale. Chiedendosi seriamente se non si stia per fare, anche se con le migliori intenzioni, un serio passo indietro nella lotta all’evasione.


Le scatole cinesi dell’Imu

La scadenza per il pagamento della prima rata dell’Imu (16 giugno) si avvicina e incendia gli ultimi giorni della campagna elettorale complicando ulteriormente la questione. Non vi è quasi alcun dubbio che si tratti di un prelievo inutilmente complicato e poco trasparente, ma le critiche ormai si sviluppano lungo un arco che va dall’illegittimità costituzionale sino allo sciopero fiscale offrendo un “panorama” di possibili interventi e revisioni fantasioso e contraddittorio a rappresentare la confusione che regna nell’esame della questione fiscale.

L’Imu è una specie di scatola cinese, e ogni contenitore dovrebbe essere aperto con la dovuta attenzione esaminandone i contenuti reali per poi orientare il dibattito verso scelte che non siano di pura propaganda.

La prima scatola rappresenta una tassa sugli immobili che esisteva in tutti i paesi europei tranne che in Italia e Grecia. Anzi, esisteva anche in Italia prima che per “comprarsi” una maggioranza elettorale schiacciante Silvio Berlusconi  la  cancellasse. Il primo tema da affrontare sarebbe dunque semplicemente quello di stabilire se sia giusto o sbagliato, equo o iniquo, tassare i patrimoni immobiliari: Pdl e Lega dicono no all’imposta, lanciano improbabili iniziative referendarie e disubbidienze fiscali  e assicurano che, in caso di un loro ritorno al governo, la abrogheranno, le altre rappresentanze parlamentari dicono di sì, ipotizzando varie rimodulazioni.

Nella seconda scatola c’è l’aumento del 60% degli estimi catastali di riferimento che racconta soprattutto del quasi niente che si è fatto nella gestione dei catasti urbani a livello locale e nazionale, se è vero come è vero che, malgrado la rivalutazione,  a Milano si pagherà dieci volte in più che in molti comuni del Centro Sud senza che l’Anci sollevi un ciglio.

Nella terza scatola c’è la destinazione di quelle risorse che “nei paesi normali” vengono distribuite sui territori dei cui servizi quegli immobili fruiscono, ma che nell’emergenza economica si è deciso (non il Governo, ma il Parlamento) di destinare all’amministrazione centrale trasformando un’imposta che fin nella denominazione avrebbe dovuto essere municipale in una mini-patrimoniale. Che lo si scopra solo adesso è sorprendente ma, ammesso che questo fosse necessario, sarà il caso di definire quale sia la destinazione definitiva di quelle risorse rendendo almeno trasparente lo “scambio” tra il gettito destinato al Tesoro e quello rientrante con le rimesse agli enti locali.

I sindaci associati nell’Anci  annunciano, con buoni argomenti, una perdita secca di risorse ancor maggiore se il gettito preventivato risultasse nella realtà inadeguato. Il presidente dell’Anci  Graziano Del Rio propone di convocare un tavolo di verifica all’indomani del versamento della prima rata e questa sembra una proposta assolutamente sensata.

Nella quarta scatola ci sono le modalità di versamento e la doppia follia di spezzare in tre rate i pagamenti per la prima casa (introdotta tra grida di vittoria con il voto parlamentare per contestabilissime ragioni di “sostenibilità sociale”) e l’obbligo di calcolarsi da soli, oltre che l’entità dei versamenti, anche la loro ripartizione tra fiscalità generale e locale. Una complicazione bizantina cui non dovrebbe essere troppo difficile porre rimedio se davvero lo si volesse.

Nell’ultima scatola si nasconde la “sorpresa” : la trasformazione dei comuni in esattori sulla quale si innescano i possibili rilievi costituzionali e la generale protesta dei primi cittadini. Che però sembrano considerare seriamente la possibilità di sostituirsi all’Agenzia delle Entrate lanciata come una “novità” dalla Lega. In realtà è dal 1997 che i comuni possono disciplinare autonomamente forme e modalità della riscossione e dovrebbe suscitare qualche sospetto – come segnala perfidamente Equitalia – che non l’abbiano mai fatto. Ma ora è una legge che stabilisce che dal 1 gennaio 2013 Equitalia «cessa le attività di riscossione locale». Che i comuni tornino esattori dunque non è una scelta, ma un obbligo con tre possibili variabili: che a intervenire sia un’azienda privata iscritta all’albo delle società di riscossione, che si passi alla gestione diretta, che sia una nuova struttura “creata” dall’Anci a ereditare le competenze di Equitalia. Sarà certamente vero che queste strutture potranno instaurare con il contribuente un rapporto “più civile” di quello cieco e burocratico che si rimprovera quotidianamente a Equitalia (che pure è nient’alto che lo strumento del quale lo Stato si vale per far rispettare la legislazione fiscale), ma forse sarebbe utile e opportuno che si cominciasse a capire anche di quali costi aggiuntivi verranno gravati i comuni prima di scoprire che i risparmi attesi non saranno tali o, peggio, che non lo sarà l’efficienza delle nuove strutture come ben potrebbe raccontare la storia dei Salvo esattori in Sicilia. E considerare anche che in quel «cessa le attività di riscossione» non si fa cenno al contenzioso in corso. Chi se ne occuperà, chi se ne caricherà i costi? Sarà il caso di stabilirlo per tempo visto che si tratta di milioni di euro che si potranno esigere, certo con maggior garbo, ma che sarebbe rovinoso perdersi per strada.

Occuparsi seriamente del problema contribuirebbe a fare un passo avanti  nella direzione di una fiscalità almeno decente che rispetti davvero il principio costituzionale della progressività che poco  ha a che fare con Iva, Imu e Ilor a tutela delle fasce più deboli della popolazione (scontando il rischio della più odiosa iniquità insito nella constatazione che gli imprenditori dichiarano redditi inferiori a quelli dei dipendenti) che non può fondarsi sugli slogan roboanti ma sulla condivisione del fatto che le tasse sono, se non l’unico, certo il più efficace strumento di redistribuzione del reddito che le democrazie abbiano saputo inventare.