Solidarnosc, 1989 la Storia passa dalla Polonia

Sulla cartolina bianca e rossa la scritta «Dobbiamo vincere» e la firma, Lech Walesa. E’ un frammento della campagna elettorale del 1989 che, per citare il titolo di prima pagina dell’allora giornale del Partito comunista italiano, l’Unità, così si concluse: «Schiaffo al Poup, Solidarnosc stravince».

Una vignetta di Andrzej Krauze

Una vignetta di Andrzej Krauze

Non era una forzatura: il sindacato di cui Walesa era stato presidente prima di essere arrestato, aveva conquistato 160 dei 161 seggi del Senato e il 48% dei posti nella Camera dei deputati della Polonia dei 49% che furono soggetti alle libere elezioni (il 51% erano “riservati” al Partito comunista in base agli accordi che avevano preparato la fine della dittatura). A guidare il Paese fu chiamato Tadeusz Mazowiecki, l’uomo che aveva firmava l’editoriale di prima pagina del primo numero della rivista di Solidarnosc dedicandolo alla rivolta dei cantieri di Danzica da dove tutto iniziò.
Per ripercorrere quel tratto di storia che cambiò il volto dell’Europa (il muro di Berlino cadde tre mesi dopo le elezioni polacche), la Fondazione Feltrinelli, in collaborazione con il Consolato polacco, mette in mostra una selezione dei documenti che conserva nei propri archivi. Sui 16 grandi pannelli montati nella sala di lettura, sono allineati documenti, periodici, opuscoli, manifesti dalla fondazione del sindacato (1978) fino all’anno della sua vittoria. Materiali che permettono di ricostruire l’evolversi delle vicende polacche: le mobilitazioni dei cantieri Lenin di Danzica dell’agosto 1980; il riconoscimento (provvisorio) dei sindacati indipendenti; la legge marziale instaurata dal generale Jaruzelski il 13 dicembre 1981 quando Walesa fu internato per undici mesi prima che gli si imponessero gli arresti domiciliari; il Nobel per la Pace del 1983 e, nello stesso anno, l’uccisione di Jerzy Popiełuszko (1983); il progressivo allentamento, a partire dal 1986, delle maglie repressive del regime sino agli incontri che prepararono le elezioni.
I materiali esposti sono giunti alla Fondazione attraverso i molti comitati di solidarietà attivi in Italia lungo l’intero corso degli anni Ottanta, in particolare a Torino e Venezia, cui si sono aggiunte le foto raccolte dall’European Solidarity Center di Danzica e i documenti della Fondazione Vera Nocentini di Torino. A testimoniare anche la grande attenzione con la quale dall’Italia si seguiva l’esperienza di Solidarnosc, soprattutto da parte dei sindacati come testimoniano i volantini a firma Cgil-Cisl Uil a sostegno della mobilitazione operaia o la foto di Walesa tra Franco Marini e Pierre Carniti.
Ma la mostra è anche l’occasione per scoprire gli strumenti di una campagna volta a creare consenso attorno al sindacato e alle sue rivendicazioni, soprattutto politiche. Ci sono i bollettini multilingue diffusi in tutta Europa, i saggi e i documenti, molti redatti in russo per rivolgersi alle opposizioni sovietiche, i ciclostilati satirici, le raccolte di poesie sullo stato d’assedio, le graffianti vignette di Andrzej Krauze, le petizioni contro i processi e gli elenchi dei prigionieri politici, il logo Solidarnosc deformato sotto i cingoli di un carro armato o in forma di elettrocardiogramma. E anche la lettera aperta di Marek Edelman, l’unico comandante sopravvissuto della rivolta del ghetto di Varsavia che le autorità non avevano voluto invitare alle celebrazioni.

Sciopero ai cantieri Lenin di Danzica

Sciopero ai cantieri Lenin di Danzica

Restano sullo sfondo le molte polemiche sugli appoggi occidentali e vaticani al sindacato, ma a completare il quadro viene, nel giorno dell’inaugurazione, un convegno di studi cui parteciperanno Jacek Pałasiński, oggi giornalista della televisione polacca TVN24, Francesca Gori, all’epoca responsabile delle collezioni sull’ Est Europa dell’Est della Fondazione e Krystyna Jaworska, slavista all’Università di Torino e curatrice della mostra cui si aggiungeranno tre incontri dedicati alla letteratura, al teatro e al cinema polacco. Alle 21.30 della serata d’apertura, poi, al cinema Palestrina l’anteprima di “Walesa, l’uomo della speranza” di Andrzej Waida già presentato alla Mostra Venezia e basato sulla lunga intervista di Oriana Fallaci. Ancora un ritorno ai cantieri di Danzica.

“Solidarnosc nei documenti della Fondazione Feltrinelli”, dal 10 giugno (inaugurazione ore 18.00) al 15 luglio, via Romagnosi 3, 9.30-17.30, lun. 13.30-17.30, ven. 9.00-13.00.
(la Repubblica Milano, 7 giugno 2014)


50 anni fa, 5 aprile 1964

«Grave scacco della Cgil: fallita la prova di forza». Per la prima volta dalla fine della guerra, nonostante lo sciopero imposto dai socialcomunisti, centinaia di treni sono arrivati e partiti dalla Stazione Centrale. (5 aprile 1964, sabato. Corriere della Sera)


50 anni fa, 10 gennaio 1964

«Ferme le fabbriche e i trasporti pubblici». Possente risposta dei lavoratori all’attentato fascista alla Cgil di Roma. La città è restata bloccata per un’ora.  (10 gennaio 1964, venerdì. l’Unità)


50 anni fa, 8 maggio 1963

«Montecatini in sciopero: rivendicata una svolta sindacale». Bloccati due stabilimenti del monopolio mentre all’interno della Cisl, astenutasi dalla lotta, c’è un intenso dibattito». (8 maggio 1963, mercoledì. l’Unità)


Distrazioni pericolose

L’attenzione puntata a metter ordine nel bilancio comunale, la Giunta Pisapia è vittima di proprie e altrui “distrazioni pericolose” su terreni strategici per l’amministrazione.

Il Sindaco, Giuliano Pisapia

Il Sindaco, Giuliano Pisapia

Malgrado i dichiarati entusiasmi di Enrico Letta e Giovanni Giovannini,  e l’imminente nomina di Giuseppe Sala a Commissario unico di Expo, è stato mancato l’obiettivo che il Governo designasse anche un Sottosegretario che si occupasse, in un rapporto diretto con la Presidenza del Consiglio dell’Esposizione internazionale. Il ruolo avrebbe potuto essere ricoperto da Davide Corritore, ma gli si è preferito Maurizio Martina la cui delega si confonde in quella più generale all’Agricoltura. E nessuna assicurazione è ancora venuta sulla reale possibilità di superare il patto di stabilità per gli interventi necessari a finanziare la macchina di Expo, mentre vengono a mancare le risorse della Provincia. Il Governo è certamente distratto, ma altrettanto certamente la capacità di incidere sulle sue scelte appare molto ridotta.

Una “distrazione” porta anche il bresciano Paolo Rossetti su mandato di A2A alla presidenza di Amsa dopo le polemiche dimissioni dall’incarico di Sonia Cantoni contraria, e con molte ragioni, a un piano industriale che, di fatto, toglie ogni autonomia ad Amsa ed anzi le affida la sola raccolta dei rifiuti: un costo più che una risorsa.  Mentre Pisapia cercava di far recedere la Cantoni dalle proprie decisioni, i soci bresciani procedevano per la propria strada e lo potevano fare anche per le incertezze che ancora segnano le scelte politiche e societarie di A2A.

Incertezze che si ritrovano nella gestione del caso Sea, sia sul fronte della sua immaginata privatizzazione in un rapporto, restato tutto da definire con i privati di F2i da una parte e i sindacati dall’altra, sia in quello, spinosissimo, di Sea Handling non certo creato dall’attuale Giunta con i presunti sussidi di Stato per 360 milioni di euro fra il 2002 e il 2010. Si cerca di ”congelare” la multa che porterebbe la società a sicuro fallimento e si mobilitano anche i parlamentari europei sull’obiettivo. Ma non c’è chi non sappia che nel 90 per cento dei casi questi ricorsi sono stati respinti anche se i sindacati proclamano uno sciopero per il 14 maggio e si riapre il caso dei furti di bagagli. Lunedì gli europarlamentari incontreranno il commissario europeo Almunia, ma il massimo che potranno ottenere è una sospensiva per guadagnare tempo. Se l’operazione fallisse, all’apparenza, non esiste alcun piano B, se non quelli elaborati da F2i e dagli scozzesi della Manzies Aviation.

E, infine, c’è il Comune, la più grande azienda della città, i cui dipendenti (con l’eccezione della Cgil) si preparano a scioperare il 13 maggio, per la prima volta dai tempi dell’amministrazione Albertini, su una piattaforma che suona come una pesante critica alla gestione complessiva delle risorse umane.

La Giunta è reduce da un doloroso rimpasto e il Sindaco pretende dalla sua nuova compagine la massima unità d’intenti. Ma la maggioranza è attraversata dalle stesse incertezze su politica e programmi che sta squassando il centrosinistra del dopo elezioni. Mentre, esattamente come a livello governativo, le scelte si impongono e non possono essere delegate alla sola figura “salvifica” del Sindaco, il cui “governo” è già diventato quello delle tasse, per le opposizioni ma anche per un’opinione pubblica che non accetta l’aumento di Irpef e tariffe (e forse anche dell’Imu da accorpare con l’ancora non nata Tares nella futuribile Ics) per coprire un disavanzo che resta di 360 milioni e che non si azzera con le parole, ma con progetti credibili. Tutti ancora da inventare. A partire forse proprio dalla battaglia annunciata sull’Imu.


50 anni fa, 9 febbraio 1963

«Insieme dopo nove anni i lavoratori». Manifestazioni e cortei nella giornata dello sciopero generale. In piazza Santo Stefano gli interventi dei segretari di Cgil, Cisl e Uil. (9 febbraio 1963, sabato. l’Unità)


50 anni fa, 28 ottobre 1962

«Studente muore a Milano negli incidenti per Castro». Il giovane è stato travolto da una jeep  della polizia La vittima è Giovanni Ardizzone, studente di medicina di 21 anni. La manifestazione per Cuba era stata indetta dalla Cgil che aveva raccolto 10mila persone nella centralissima piazza Santo Stefano.  (28 ottobre 1962, domenica. La Stampa)


50 anni fa, 24 ottobre 1962

«Scioperi e manifestazioni per Cuba». Comizi volanti davanti alle fabbriche, corteo davanti al consolato Usa». Appello unitario dei giovani e della Cgil per la revoca del blocco navale. Messaggio degli intellettuali milanesi all’Onu e al governo italiano. (24 ottobre 1962, mercoledì. l’Unità)


Il “prezzo” dei costituenti

Gli sforzi per ridurre i cosiddetti “costi della politica” hanno dato, sino ad ora, risultati a dir poco deludenti. Forse anche perché sfuggono i termini di paragone. Sarà utile allora sfogliare le pagine di “Quel nostro Novecento” di Raniero La Valle (Ponte alle Grazie, pp. 194,  12 euro).

Teresa Mattei fra i delegati che presentano la Costituzione alla firma di Enrico De Nicola

Vi si incontra Teresa Mattei, partigiana e,a 24 anni, deputata comunista alla Costituente, una delle 21 donne sui 556 deputati che hanno fatto parte di quell’assemblea. Era la più giovane, ma fu nominata segretaria di Presidenza. In questa veste, con una delegazione dell’Assemblea, il 27 dicembre 1947 presentò a Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato, il testo della Costituzione da firmare.

Nel suo incarico, fu tra quanti dovettero stabilire i criteri per lo stipendio dei costituenti. Insieme a Giuseppe Di Vittorio andò allora su una vecchia macchina della CGIL in giro per fabbriche ed uffici per vedere quale fosse il salario medio degli operai e degli impiegati di allora, e propose che, per non allontanarsene, l’indennità parlamentare fosse di 42.000 lire al mese. Questa proposta non fu molto popolare tra gli onorevoli e, alla fine, il salario dei deputati fu fissato a 80.000 lire.

Quanto valgono oggi quelle 80mila lire? Le tabelle di rivalutazione monetaria ci dicono che lo stipendio di uno di quei “padri della Patria” era pari a 2.404 euro al mese, il doppio di uno stipendio operaio.

Certo, allora i “professorini – Dossetti, Lazzati, Fanfani, La Pira – vivevano “in comunità” nella casa delle signorine Portoghesi in via della Chiesa Nuova 14, formando quel singolare sodalizio che si chiamò poi, per celia, “comunità del Porcellino”. Un po’ come i Memores Domini di oggi anche se con qualche migliaia di euro in meno da spendere.


La cinghia di trasmissione leninista

Troppo spesso si è definita la Lega come l’ultimo partito leninista attivo in Italia. Di questo quadro interpretativo faceva parte integrante il Sin.Pa, il sindacato padano che del partito era, come tradizione vorrebbe, la cinghia di trasmissione con le masse operaie, senza subordinarne gli strumenti ma facendone l’organizzazione d’elezione attraverso la quale il partito potesse rappresentare le politiche e gli orientamenti che nella lotta sindacale si esprimevano.

Nel caso del Sin.Pa sembra evidente che stia avvenendo l’esatto contrario giacché la capacità del suo segretario generale, Rosy Mauro, di imprimere un orientamento politico alla segreteria del Carroccio sembra oggi molto modesta.

Ma, giustamente, il Sin.Pa rivendica la propria autonomia, come farebbe ogni vero sindacato di fronte alle ironie di Matteo Salvini che una intervista a Radio 24 ha dichiarato: «Ho provato a lavorarci più di una volta ma, onestamente, non ho mai trovato grandi riscontri. In futuro potrà essere condotto in maniera più efficace, visto che, purtroppo, non mi sembra che abbia centinaia di migliaia di iscritti».

Di cosa parlavano allora i suoi colleghi, Roberto Cota e Lorenzo Bodega, che in una interpellanza parlamentare accreditavano «oltre 350mila iscritti»? Lo facevano per contestare la sentenza in base alla quale il Tar aveva negato il posto al Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro attribuito al Sin.Pa nel 2005 perché «non abbastanza rappresentativo a livello nazionale», decisione che aveva preso accogliendo un ricorso della Cgil.

Una sentenza che anticipava l’attuale giudizio di Salvini. Che trova però un fiero oppositore in Alessandro Gemme membro della segreteria del Sin.Pa che rappresentò proprio in quella breve stagione al Cnel: «Salvini pensi alla Lega Nord. La leadership del Sin.Pa non è in discussione e non lo riguarda». Fin qui, siamo alla rivendicazione d’autonomia, ma poi Gemme aggiunge: «Purtroppo, a dispetto di quanto sostenuto da Matteo Salvini, dobbiamo riscontrare la mancanza di aiuto proprio da parte di molti leghisti e tra questi anche dello stesso Salvini, nella sua qualità di consigliere comunale di Milano: nei rapporti con le ex municipalizzate i nostri iscritti hanno subito e subiscono diverse discriminazioni tanto che non si contano le cause ancora attive nei tribunali». E invece sarebbe bene contarle, una per una, oltre che per denunciare le attività antisindacali della giunta Pisapia (ma forse della giunta Moratti della quale la Lega faceva parte), soprattutto per dare finalmente una dimensione reale al sindacato padano. Del quale, allo stato, si sa per certo solo che ha tre dipendenti dei quali una è la nipote di Rosy Mauro. Già perché nelle perquisizioni della Guardia di Finanza non è stata neanche trovata la documentazione sulle trattenute sindacali (che se non esistesse davvero configurerebbe un’altra serie di reati). Forse perché, come la Mauro e Gemma hanno denunciato a più riprese, le Poste e la Fiat ne negano la riscossione? E’ per questo Rosy Mauro era costretta a finanziare personalmente le attività sindacali? Tutti elementi da chiarire, quanto meno per non dare indirettamente ragione a Francesco Belsito che stimava in non più di settemila gli aderenti al sindacato. Comunque la si metta, forse la cinghia di trasmissione è proprio da cambiare come direbbe un meccanico non necessariamente leninista