La cinghia di trasmissione leninista

Troppo spesso si è definita la Lega come l’ultimo partito leninista attivo in Italia. Di questo quadro interpretativo faceva parte integrante il Sin.Pa, il sindacato padano che del partito era, come tradizione vorrebbe, la cinghia di trasmissione con le masse operaie, senza subordinarne gli strumenti ma facendone l’organizzazione d’elezione attraverso la quale il partito potesse rappresentare le politiche e gli orientamenti che nella lotta sindacale si esprimevano.

Nel caso del Sin.Pa sembra evidente che stia avvenendo l’esatto contrario giacché la capacità del suo segretario generale, Rosy Mauro, di imprimere un orientamento politico alla segreteria del Carroccio sembra oggi molto modesta.

Ma, giustamente, il Sin.Pa rivendica la propria autonomia, come farebbe ogni vero sindacato di fronte alle ironie di Matteo Salvini che una intervista a Radio 24 ha dichiarato: «Ho provato a lavorarci più di una volta ma, onestamente, non ho mai trovato grandi riscontri. In futuro potrà essere condotto in maniera più efficace, visto che, purtroppo, non mi sembra che abbia centinaia di migliaia di iscritti».

Di cosa parlavano allora i suoi colleghi, Roberto Cota e Lorenzo Bodega, che in una interpellanza parlamentare accreditavano «oltre 350mila iscritti»? Lo facevano per contestare la sentenza in base alla quale il Tar aveva negato il posto al Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro attribuito al Sin.Pa nel 2005 perché «non abbastanza rappresentativo a livello nazionale», decisione che aveva preso accogliendo un ricorso della Cgil.

Una sentenza che anticipava l’attuale giudizio di Salvini. Che trova però un fiero oppositore in Alessandro Gemme membro della segreteria del Sin.Pa che rappresentò proprio in quella breve stagione al Cnel: «Salvini pensi alla Lega Nord. La leadership del Sin.Pa non è in discussione e non lo riguarda». Fin qui, siamo alla rivendicazione d’autonomia, ma poi Gemme aggiunge: «Purtroppo, a dispetto di quanto sostenuto da Matteo Salvini, dobbiamo riscontrare la mancanza di aiuto proprio da parte di molti leghisti e tra questi anche dello stesso Salvini, nella sua qualità di consigliere comunale di Milano: nei rapporti con le ex municipalizzate i nostri iscritti hanno subito e subiscono diverse discriminazioni tanto che non si contano le cause ancora attive nei tribunali». E invece sarebbe bene contarle, una per una, oltre che per denunciare le attività antisindacali della giunta Pisapia (ma forse della giunta Moratti della quale la Lega faceva parte), soprattutto per dare finalmente una dimensione reale al sindacato padano. Del quale, allo stato, si sa per certo solo che ha tre dipendenti dei quali una è la nipote di Rosy Mauro. Già perché nelle perquisizioni della Guardia di Finanza non è stata neanche trovata la documentazione sulle trattenute sindacali (che se non esistesse davvero configurerebbe un’altra serie di reati). Forse perché, come la Mauro e Gemma hanno denunciato a più riprese, le Poste e la Fiat ne negano la riscossione? E’ per questo Rosy Mauro era costretta a finanziare personalmente le attività sindacali? Tutti elementi da chiarire, quanto meno per non dare indirettamente ragione a Francesco Belsito che stimava in non più di settemila gli aderenti al sindacato. Comunque la si metta, forse la cinghia di trasmissione è proprio da cambiare come direbbe un meccanico non necessariamente leninista



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