Firmo o non firmo?

Gabriele Albertini di fronte ala caso delle 30 firme sospette nelle sue liste scoperte dalla Procura di Cremona ha dimostrato il proprio tradizionale aplomb: «Qualora dovessero ravvisarsi responsabilità di ogni tipo, saremo inflessibili con tutti coloro che dovessero essere coinvolti  in questa vicenda». Confortato anche dal fatto che le firme contestate erano 30 su 641 e ne bastavano 500 per formalizzare le candidature.

Roberto Formigoni e le "sue" firme false

Roberto Formigoni e le “sue” firme false

La Destra, che ha visto cancellare la sua lista dal collegio elettorale 3 della Lombardia, aveva poco da commentare visto che nello studio di un avvocato milanese era stata scoperta una vera e propria centrale di falsificazione: 83 timbri falsi di giudici di pace di Comuni lombardi, liguri, piemontesi e molisani, nonché di Roma, timbri dei municipi di Pavia, Monza e del tribunale di Milano, decine di certificati elettorali ed elenchi di sottoscrizione in parte autenticati in bianco, alcuni dei quali con il logo di partiti.

La Lega, di fronte all’indagine aperta dalla Procura di Monza sulla base delle «osservazioni» dei rappresentanti radicali della lista Amnistia Giustizia e Libertà, ha evocato il «complotto» , con Matteo Salvini che parla di «insulti e calunnie per tentare di non farci vincere». Già, perché in questo caso le firme “sospette” sarebbero 900 su 1.200 e, se questo fosse accertato, la lista per Maroni Presidente non avrebbe potuto essere neanche presentata. Se ne occuperà l’Ufficio centrale elettorale della Corte d’Appello di Milano e c’è da sperare che l’autodifesa del consigliere provinciale leghista Giuliano Beretta, già indagato per truffa per questa vicenda dalla procura monzese, trovi conferma nei fatti.

Perché non serve ricorrere a sondaggi “segreti” per sapere che, in Lombardia, la battaglia tra Ambrosoli e Maroni si combatte sul filo delle centinaia di voti.

Sarà allora utile citare il precedente del Piemonte. Nel 2010, Roberto Cota si assicurò la vittoria con 1.043.318 voti contro1.033.946 di Mercedes Bresso: una differenza di 9.372 schede. Ma della coalizione che sosteneva Cota partecipavano anche i Pensionati di Michele Giovine premiato da 27.797 preferenze. Peccato che quella lista non potesse presentarla e che per questo sia stato condannato in primo e secondo grado e costretto alle dimissioni da consigliere regionale. Non è naturalmente detto che quei 27mila in assenza della lista di Giovine si sarebbero astenuti, ma il dubbio che, senza quell’inganno, la Bresso avrebbe avuto qualche possibilità in più di vincere è egualmente legittimo.

La cosa grave è che, malgrado le sentenze, il risultato delle elezioni piemontesi sia comunque restato quello acquisito complice una sentenza della Corte costituzionale che assegna la materia al Tribunale civile dal quale non è ragionevole attendersi sentenze che possano realmente interferire con i risultati elettorali.

Qui, come nel caso delle firme false per Formigoni, scoperto non per caso dagli stessi Radicali, si misura tutta la distanza che separa i tempi della giustizia da quelli della politica e dell’amministrazione, così che il giudizio sull’ormai ex Governatore arriverà quando altri governeranno la Regione.

Un esempio di come il delitto, in questo Paese, paghi, malgrado tutte le chiacchere sulla certezza della pena. Con l’aggravante che qui si gioca con i fondamenti della democrazia rappresentativa e il solo sospetto che il voto possa essere truccato, getta un irrecuperabile discredito sulle istituzioni.

Di questo si dovrebbero preoccupare i leghisti, non delle macchine del fango messe in moto a loro danno, perché con queste pratiche ogni eventuale vittoria può essere mutilata e «il popolo sovrano» truffato.  Ma anche questo è un segno di continuità con la tradizione che Formigoni ha imposto alla Regione, un’altra delle sue «eccellenze».


La “macro-corruzione”

Se, il 26 febbraio, Roberto Maroni si “scoprirà” Governatore della Lombardia, dovrà cominciare a dare dignità istituzionale alla sua promessa di macro-regione del Nord. “Istituzionale” significa che si dovrà, al minimo, stendere e far approvare dalle Camere una legge. Il che non è affatto scontato, ed anzi potrebbe segnare una prima crepa nella rinata coalizione Lega-Pdl.

Roberto Cota con Roberto Maroni

Roberto Cota con Roberto Maroni

C’è, naturalmente, il patto solennemente firmato da Maroni, in attesa di investitura, con i presidenti di Friuli, Veneto e Piemonte. Ma sulla loro reale possibilità di onorare quell’accordo grava il futuro delle loro stesse giunte, e non solo per le recenti minacce di Berlusconi che si dice pronto a farle cadere se la Lega gli creasse troppi problemi.  Potrebbero cadere da sole, in particolare quella del Piemonte guidata da Roberto Cota che sta scalando la classifica della Regione più indagata d’Italia dopo la Calabria e la Lombardia di Roberto Formigoni.

Maroni denuncia il «complotto mediatico-giudiziario» e la «giustizia a orologeria», ma intanto, Massimo Giordano, ex sindaco di Novara e assessore leghista allo Sviluppo economico del Piemonte è indagato per corruzione, concussione e abuso d’ufficio. Lui, con un gesto poco frequente da parte della nomenklatura politica, aveva immediatamente rimesso il  suo mandato, ma Cota ha voluto confermarglielo.

Giordano è l’ultimo indagato in una serie che si è aperta con il clamoroso arresto dell’assessore alla Sanità Caterina Ferrero, accusata di turbativa d’asta e abuso d’ufficio e che, per gli inquirenti, «agiva per motivazioni politiche personali e non per l’interesse della pubblica amministrazione».

Il successo elettorale di Cota era stato assicurato anche dalla lista Pensionati guidata da Michele Giovine che si era guadagnato 27mila preferenze ma la cui lista era stata presentata con l’abituale corredo di firme false come è stato sancito in una sentenza confermata in appello che gli ha meritato la sospensione dall’incarico di consigliere nel cui ruolo è subentrata, forte di 98 preferenze, la sua fidanzata.

C’è poi  l’assessore al Commercio William Casoni, accusato di turbativa d’asta (ma che si dichiara innocente), perché coinvolto in una inchiesta sul business dei bolli d’auto che, a novembre, ha portato in carcere 15 persone.

Infine, provvisoriamente, le voci sugli esiti dell’inchiesta sui rimborsi facili in Regione Piemonte che vorrebbero prossimamente indagati  56 consiglieri oltre ai quattro che già lo sono con perfetta simmetria maggioranza-opposizione: Andrea Stara (Pd), Eleonora Artesio, (Federazione della Sinistra), Maurizio Lupi (Verdi Verdi) e l’ineffabile Michele Giovine.

Così che l’erigendo asse Lombardia-Piemonte si potrebbe davvero dire costruito nel segno della continuità. Almeno dal punto di vista del codice penale.