Non c’è solo la mobilità dolce

Nel suo piano originale, Expo avrebbe permesso a Milano di dotarsi delle infrastrutture che le erano indispensabili ma nelle quali non si era investito per tempo. Sul fronte del trasporto urbano, si “sognava” di poter costruire ex novo tre nuove linee metropolitane e di prolungare quelle esistenti verso l’hinterland: la rete sarebbe passata da 76 km e 88 fermate a 140 km e 110 fermate. Ci sarebbero stati i 200 km di autostrade, bretelle e raccordi ai quali ancora si appassiona Roberto Maroni. E poi, le vere vie d’acqua con i battelli perché si puntava a un modello di mobilità più dolce, lenta e sostenibile.

metroDi quel sogno è rimasto forse solo lo sharing, in bici, in moto o in auto del quale è, giustamente, orgoglioso l’assessore Pierfrancesco Maran il cui indubbio successo rischia però di sminuire di fronte all’opinione pubblica il rilievo che, non solo nel contesto di Expo, ha quello che non è affatto dolce, l’hardware, fatto di binari, metro, tram e bus. E anche della linea 4 che non ci sarà, della 5 che, grazie al project financing, costa più di quanto renda, dei 125 bus Euro 6 appena comprati dai polacchi, delle manutenzioni indispensabili in vista di un impegno che deve essere eccezionale.

Un uomo “pratico” come l’amministratore delegato di Atm Bruno Rota lo sa benissimo. E, infatti, chiede 40 milioni di euro, tutti e subito. Perché lui che deve già far muovere 698 milioni di passeggeri all’anno sa che nei mesi di Expo molti altri se ne aggiungeranno. Così che i trasporti pubblici diventeranno il vero banco di prova della città di fronte all’Esposizione universale: linee congestionate di treni e metro, scarsità di materiale rotabile e tecnologie di segnalamento inadeguate per la circolazione dei treni ne sono il vero tallone di Achille.

Dal 1 maggio al 31 ottobre i padiglioni espositivi di Rho saranno raggiunti con il treno dal 32%, dei 20 milioni di visitatori attesi, con la metropolitana dal 25%, con l’autobus dal 19% con l’auto dal 20%; solo il 4% userà il taxi: una media di 130 mila visitatori giornalieri con picchi nei festivi di 250 mila. Se queste stime sono attendibili, il 57% dei visitatori arriverà con i mezzi pubblici e il 43% con quelli privati.  Per Atm significa percorrere in un anno 9 milioni di chilometri in più che corrispondono, esattamente, ai quei 40 milioni nei quali stanno anche l’assunzione di 50 macchinisti e 20 autisti (e i loro straordinari, perché Expo non accetterà l’orario estivo imposto ai milanesi), le manutenzioni anticipate, i fondi per garantire la sicurezza… Quel che già c’è sono i nuovi bus Euro 6 (ne verranno consegnati 85 entro la fine dell’anno), i 30 nuovi treni del metrò (comprati grazie a un mutuo da 220 milioni di euro), il nuovo sistema di segnalazione che ha permesso sulla rossa frequenze fra i convogli di due minuti (ma per un’ora sola: durante Expo la “punta” si prolungherà per tre ore), la sperimentazione dei semafori intelligenti che, comunque, non si concluderà per tempo. E’ un pezzo dei 423 milioni di investimenti che Atm ha programmato tra il 2014 e il 2016. Che da soli, però, non basteranno anche se andassero a buon fine operazioni di marketing come l’invenzione del “naming” per la sponsorizzare le stazioni o l’offerta di personalizzare i biglietti con il logo di aziende e istituzioni.

E’ un costo “nascosto” di Expo che, finalmente, viene alla luce. E sarebbe paradossale che, in assenza degli stanziamenti richiesti, a pagarne il conto fossero gli stessi utenti con l’aumento delle tariffe quando Atm è tra le poche aziende di trasporto pubblico (sono solo quattro nelle grandi città) ad assicurare il 50 per cento dei costi di esercizio.

Un costo che si dovrebbe però intendere sin da oggi come investimento se lo inserisse in un progetto che assicuri alla città metropolitana le infrastrutture di cui ha bisogno. Perché allora non si dovrà soddisfare solo la domanda di 20 milioni di visitatori ma di quasi 4 milioni di residenti cui non basterà certo la mobilità “dolce”. Bisogna pensarci subito perché, allora come oggi, per formare un nuovo macchinista servono sempre sei mesi.

(la Repubblica Milano, 15 settembre 2014)



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